1953, La Duchessa di Devonshire, di Luigi Callari

LA DUCHESSA DI DEVONSHIRE
di LUIGI CALLARI
da: Il PAESE
Sabato 27 giugno 1953
MENTRE NAPOLEONE SCONFITTO LANGUIVA A SANT’ELENA
Tra diplomatici e colti Cardinali

La bella Elisabetta di Devonshire (1)
I giovedì romani della duchessa, protettrice di Canova e di Thorwaldsen.
Una salace risposta del Segretario di Stato Consalvi a un torbido ed incauto inglese.
Tabacchiere e facciate di chiese.

Passato il turbine napoleonico, Roma riassunse presto la sua fisionomia di città contemplativa di un passato storico leggendario sempre vivo negli intellettuali di tutto il mondo e perciò fu rapidamente ripreso l’afflusso degli stranieri.
Ai saloni dei sontuosi palazzi dell’aristocrazia romana, che si riaprivano in una gara di lusso e di magnificenza come in ansia di riguadagnare un tempo perduto, si aggiunsero quelli nuovi di varie personalità estere venute a stabilirsi nell’Urbe considerata universalmente un’oasi di pace in un’Europa travagliata e in fermento.
Non pochi inglesi amanti della vita tranquilla presero la via di Roma ove, come ho già narrato, vegetava dagli ultimi anni del settecento nel palazzo Corsini l’ultimo degli Stuart in posa di pretendente al trono d’Inghilterra, marito disgraziato di Maria Massimiliana, principessa di Stolberg-Gedem e contessa d’Albany, amante riamata di Vittorio Alfieri.
Fra questi albionici presto brillò per fama di larghe accoglienze e di raffinata intellettualità la Duchessa Elisabeth di Devonshire, vedova del quinto Conte e Duca William Blount, il quale nel 1774 aveva sposato in prime nozze Georgiana, figlia del Conte Spencer, donna bellissima e coltissima, poetessa, amica e protettrice di letterati, e, dopo la morte di lei, in seconde nozze Elisabeth, figlia del Conte di Bristol, anch’essa celebre per bellezza e cultura.
Dopo la morte del marito, avvenuta nel 1811, Elisabeth, realizzando la sua antica aspirazione di vivere fra i monumenti di quel classicismo romano che aveva adorato da lontano, si stabilì nella capitale ove presto divenne l’idolo del mondo artistico e letterario perché generosissima patrona di Canova e di Thorwaldsen e animatrice della pubblicazione di sontuose edizioni di classici latini.
Il suo salone al palazzo Odescalchi per ben sei anni fu nei dolci inverni romani la riunione più piacevole e ricercata dei numerosi cultori dell’arte e della letteratura di quel tempo e dette motivo alla famosa antinapoleonica Madama di Staël, sua amica e allo scozzese Lord Caryll, testimonio delle nozze di Giacomo III, di proclamare Roma «Salotto di Europa», frase che ebbe fortuna e rimase storica.
Fucilate nel salone
A uno dei celebri giovedì intervenne una sera anche il dotto Cardinale Consalvi (Segretario di Stato di Papa Pio VII) il quale aveva consentito volentieri a rivedere la nuova traduzione italiana del «Viaggio di Orazio a Brindisi», che la duchessa faceva splendidamente ristampare per consolarsi delle critiche che avevano salutato la prima edizione, e le annunciò graziosamente d’aver impartito ordini per facilitare il piacere della caccia ai numerosi inglesi che risiedevano a Roma e vi si dedicavano con ardore per allietare i loro ozi.
Era pure presente lo storico e diplomatico francese Artaud, l’erudito biografo dei più illustri italiani che narrò la storia di un giovane lupo allevato come un cane dal signor De Courtel, che per altro lo dovette un giorno uccidere nel suo salone con un colpo di fucile perché, risvegliatasi improvvisamente la nativa ferocia, la bestia aveva tentato di divorare il braccio di un bambino.
Questa conversazione di caccia produsse curiosamente i suoi effetti in uno stravagante inglese, assiduo dei ricevimenti della duchessa, che passava tutte le sere in muta contemplazione della sua bellezza intangibile e non apriva mai bocca tanto da sembrare una specie di mobile; ma costui ruppe la prima volta il suo ostinato silenzio al momento in cui il Cardinale Consalvi, volendosi ritirare e licenziatosi dalla padrona di casa, stava per varcare la soglia del salone.
Egli si pose, poco galantemente invero, a sbarrare il passo all’Eminenza chiedendogli bruscamente perché tante facciate delle chiese di Roma erano rimaste incompiute.
Il Cardinale, sorpreso di questo improvviso attacco, rispose argutamente:
– Signore, perché il vostro Enrico VIII non ha saputo aspettare il ritorno di un corriere. –
Il torpido inglese rimase trasecolato ad almanaccare il senso della risposta del porporato e ci volle del bello e del buono per fargli capire a che cosa aveva alluso il dotto Segretario di Stato.
Infatti l’insurrezione degli inglesi contro la Chiesa Cattolica Romana era stata fatale alle arti costruttive perché non aveva più permesso alla Corte Pontificia di sollecitare e accettare da quella inglese quel danaro che serviva generalmente a risarcire le chiese romane dai danni del tempo.
Il Re Enrico VIII fu sì contro Lutero che combattè col più vivo ardore col suo Trattato dei sette Sacramenti, inviato e dedicato a Papa Leone X, il quale per questo omaggio accordò al suo reale teologo il titolo di “Difensore della Fede”, titolo conservato singolarmente nel protocollo dei suoi eretici successori e che orna ancor oggi il sigillo brillante che ha figurato ancora una volta al pubblico nelle cerimonie della incoronazione della Regina Elisabetta II, ma preparò tuttavia  anche lo scisma inglese.
Questo Monarca uccisore delle sue favorite, questa specie di sultano del nord dalla larga faccia di sibarita quasi inespressiva che è riprodotta nel magnifico ritratto che ammiriamo nella Galleria d’arte antica al palazzo Barberini, malgrado la violenza delle passioni che lo dominò, tuttavia rimase qualche tempo incerto prima di romperla definitivamente con la Chiesa Romana.
Difficile ritirata
Verso la fine della sua vita, parve tornare alle primitive sue opinioni religiose; ma era difficile allora per lui indietreggiare perché sarebbe stato necessario rendere il danaro con il quale gli inglesi avevano beneficiato il clero inglese e togliere alla nobiltà britannica i beni che si era attribuiti.
La spiegazione, alquanto complicata, fornita all’ottuso inglese forse non lo persuase interamente, ma ad ogni modo il Cardinale Consalvi, secondo il suo carattere, non si limitò alle parole.
Infatti, all’indomani della scenetta nel salone della Devonshire, mandò a chiamare il suo notaio e gli consegnò le numerose tabacchiere … diplomatiche ricevute in dono da vari re e imperatori durante la sua gestione politica come Segretario di Stato, affinché col ricavato della loro vendita si completassero le facciate delle chiese secondo le lamentele di quell’inglese.
E va ricordato che la più ricca di queste tabacchiere, costata 30 mila franchi, era quella che aveva ricevuto da Napoleone nel 1801 per la sua cooperazione nella conclusione del Concordato.
Chi sa se quella tabacchiera senza tabacco non fosse per il Cardinale un ricordo scottante e molesto del grande sconfitto, isolato dal mondo proprio dagli inglesi in mezzo all’Oceano per timore che si ripetesse l’avventura dell’isola d’Elba e dei cento fatali giorni!

(1) Lady Elizabeth Hervey Duchessa di Dewonshire (1759 – 30.3.1824 a Roma), aveva sposato in seconde nozze (il primo marito fu John Foster), in Chiswick il 19.10.1809, William il 5° Duca di Devonshire (14.12.1748 – 29.7.1811), il quale, a sua volta, era stato sposato in Wimbledon il 5.7.1774 con Lady Georgiana Spencer (7.6.1757 – 30.6.1806).