1817 – l’anno della carestia nelle Marche

1817 l’anno della carestia nelle Marche
Il 1817 fu un anno cruciale non soltanto per Benedetto Brunacci e la sua famiglia, bensì per molte altre famiglie marchigiane, che furono costrette dalla carestia a lasciare per sempre le loro terre.
Le guerre napoleoniche e l’impossibilità di potersi rifornire via mare, a causa dei pirati che infestavano il mare adriatico, provocarono un esodo di massa.
In quel periodo le Marche, dopo il Congresso di Vienna, erano tornate sotto il dominio dello Stato Pontificio di Papa Pio VII, ed a Capo di questo Stato, appunto come Segretario di Stato, vi era un parente di Benedetto: il Cardinale Ercole Consalvi, della famiglia Brunacci di Toscanella, oggi Tuscania in provincia di Viterbo, a sua volta di origini fiorentine.
Benedetto partì, quindi, verso il 1817-20 per Roma, ivi indirizzato dal suo illustre parente.
Grazie a questa parentela con il Cardinale, Benedetto usufruirà anche in futuro di “raccomandazioni” di cui trarranno beneficio soprattutto i suoi figli Giovanni e Gioacchino.
Giovanni*, sposatosi nel frattempo con Santa Agostinelli, andrà nel 1839 a fare il fattore in una fattoria tuttora esistente sulla via Nomentana nei pressi di Colleverde di Guidonia confinante con Mentana, mentre Gioacchino andrà a vivere a Roma, a Palazzo Costa, nei pressi del Quirinale, alle dipendenze del Marchese Cesare Costa di Macerata.
La crisi economica nelle Marche del periodo 1815-1817
A questo punto è necessario spiegare cosa ha indotto Benedetto e tanti altri marchigiani a lasciare le loro terre ed a riversarsi a Roma e nella sua provincia.
Mentana e Monterotondo, in particolare, sono due paesi i cui gli abitanti, fino a circa 50 anni fa, erano soprattutto discendenti di quelle popolazioni marchigiane arrivate qui per sfuggire a quella terribile carestia.
Il prof. Gellio Cassi ce ne parla esaurientemente in un suo libro pubblicato nel 1931.
Il Cardinal Consalvi
ed i primi anni della Restaurazione Pontificia (1815-1819)
La Rivoluzione Francese e le guerre, che ne scaturirono, apportarono gravi perturbazioni economiche, gettando i popoli in una tale crisi, dalla quale a stento e solo lentamente si sarebbero risollevati.
Le popolazioni del continente europeo che più ne risentirono furono le più povere e, insieme ad esse, quelle più lontane dal mare e quelle più lontane dalle grandi vie di comunicazione, dai maggiori centri di vita.
Il che spiega come le genti alpine soffrissero più che quelle della pianura padana le conseguenze della crisi, per le medesime ragioni, per cui il disagio fu sentito, nei domini pontifici, maggiormente nel versante adriatico più povero, che in quello tirrenico più ricco di risorse, senza dire che il primo fu flagellato, nel periodo 1815-17, da una terribile carestia, sorta da un complesso di fatti meteorici ed agrari, mentre si rendeva non sempre agevole il rifornimento per mare, battuto ancora dai pirati, triste retaggio della guerra di corsa anglo-francese.
Il disagio appariva più forte dove la guerra aveva lasciato più profonde le sue tracce. Esso non fu in nessun luogo d’Italia così grave come nelle Romagne e nelle Marche, dove spesso mancavano i cibi più indispensabili e dove la gente moriva addirittura di fame.
I primi rapporti, che avvertono una condizione generale di disagio per le Marche, sebbene ancora non grave, sono del novembre 1815.
Nella provincia di Macerata, a gennaio i furti appaiono frequenti ed i piccoli furti, soprattutto quelli campestri, vanno aumentando in modo impressionante. A febbraio la miseria seguita ad angustiare ed in primavera la situazione non è migliore. Basti dire che i furti sono cresciuti e l’autorità incomincia a preoccuparsi, perchè teme lo scoppio di una rivolta.
In agosto il grano è aumentato di prezzo e così si tira avanti fino a novembre, quando cioè si annuncia un inverno, che certo sarà terribile, perchè si sentiranno le conseguenze di due annate disastrose.
Intanto schiere di indigenti cominciano a calare dalle montagne ed a scendere nelle vallate.
Dei piccoli tumulti, qua e là, non mancano, come ad esempio, uno di donne ad Osimo (Benedetto proviene proprio da Osimo!) e, più forte che altrove, ad Ancona.
Il bisogno è così impellente che gli abitanti di Casteldolci e Ville inviano una petizione al Cardinal Consalvi, nella quale è detto che essi “sono costretti a morir di fame, come già comincia a succedere in alcune famiglie“.
La Segreteria di Stato non manca di correre ai ripari, provvedendo di grano i luoghi che ne sono scarsi, con quella rapidità che i mezzi di allora consentivano.
I rapporti della Polizia proseguono ed appaiono i primi deceduti per inedia, oltre a qualche caso di pazzia, prodotta dalla fame.
Cresce il disagio, cresce il malcontento e la gente finisce col vedere in tutti gli Ebrei null’altro che degli incettatori e dei monopolisti.
Peggio in dicembre, dal momento che i rapporti della Polizia ci fanno sentire il grido di disperazione di tante persone, che soffrono per l’estrema miseria e che dichiarano “di essere disposte a ceder le loro poche sostanze e disperdersi per il mondo“.
In quel di Fermo e di Ascoli altre delizie: piogge dirotte, venti impetuosi e qualche immancabile scossa di terremoto.
Il che viene ad aggravare la situazione di province, in parte infestate dai malviventi e dai contrabbandieri, con i viveri sempre più cari e con le rapine, che si susseguono incessantemente.
Nel Bollettino di marzo in quel di Sarsano, nei volti dei contadini “si scorge il pallore della morte, alcuni di essi sono periti, altri si pascono di immonde ghiande e di seme di canape, nonchè di erbe, a guisa di bestie“.
Il 1817 non si apre con lieti auspici, perchè la situazione economica, così atroce l’anno precedente, non è, in sostanza, mutata.
La miseria fa scendere molta gente dalle montagne, e si ritrovano degli individui “semivivi per la fame“.
Questa era la situazione ai tempi del nostro avo Benedetto!
Fortunatamente per lui, però, il Card. Ercole Consalvi apparteneva alla Famiglia Brunacci di Toscanella, oggi Tuscania (Viterbo).