Il Consalvi ed i pittori NOCCHI Bernardino e FERRERI Vincenzo

FRANCESCO PAPAROZZI DI BOLSENA ed il quadro del Consalvi
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Marco Quarantotti ci invia da Tuscania un’altro interessantissimo documento, oltre a quello riportato in questo sito in data 3 febbraio 2015 (vedere nelle “news” in homepage).
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Trattasi di una lettera che Francesco Paparozzi di Bolsena inviò nel 1925 all’allora Sindaco di Tuscania, offrendogli un quadro del Consalvi dipinto da BERNARDINO NOCCHI.
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Per leggere la lettera, inserita nella galleria fotografica, cliccare su: FRANCESCO PAPAROZZI.
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TESTO DELLA LETTERA
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Ill.mo Sig. Sindaco

Leggo sul giornale di oggi le legere onoranze che Tuscania prepara per il 26 corrente al Card. Consalvi, di cui ricorreva l’anno scorso il Centenario della morte.

In detta occasione proporrei a codesto Municipio l’acquisto di un Ritratto del suddetto, del pittore Nocchi (quadro a olio di cm 1,10 x 0,80 ca.) di cui io dispongo fuori di Bolsena e Le sarei gratissimo se la S. V. volesse interessarsene o per conto del Municipio o di altri che parteciperanno alla cerimonia e che abbiano comunque interesse nella cosa.

In attesa e con ossequi,

mi confermo.

Bolsena, 24 aprile 1925

di lei Devotissimo

Francesco Paparozzi

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Mi è subito venuto in mente un quadro del Consalvi che avevo visto nella Cattedrale di Tuscania e mi sono rivolto a Stefano Brachetti, che anni fa mi aveva aiutato a fare delle ricerche presso l’Archivio della Cattedrale.
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Purtroppo, la risposta di Stefano non è stata positiva, visto che il detto quadro fu dipinto da un altro pittore, un certo FERRERI VINCENZO.
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Naturalmente le mie ricerche del quadro del NOCCHI non si fermano qui e, in attesa di riuscire a trovare il suo quadro, inserisco intanto qui di seguito le biografie dei due sudetti pittori, che frequentarono personalmente il Consalvi.
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Nel frattempo, MARCO QUARANTOTTI mi viene ancora in aiuto con la seguente informazione, che spero mi permetterà di riuscire a trovare dei discendenti di FRANCESCO PAPAROZZI (se ve ne sono!): “Francesco Paparozzi fu Ispettore di Bolsena negli anni ’20 del 1900. Alla medesima collezione Paparozzi di Bolsena appartiene l’antefissa in pietra, a testa femminile, databile alla metà del III sec. a. C., esaminata, a seguito del consenso dei medesimi proprietari, in Pellegrini-Rafaelli 2001 c.d.s.”.
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In effetti, grazie a queste informazioni, ho ricevuto conferma dal Comune di Bolsena che FRANCESCO PAPAROZZI ha due nipoti. Con uno di questi nipoti mi sono messo in contatto via mail. Speriamo in una risposta.
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Da Wikipedia:

Bernardino Nocchi

Bernardino Nocchi (Lucca, 8 maggio 1741Roma, 27 gennaio 1812) è stato un pittore italiano.

Bernardino Nocchi è cresciuto artisticamente sotto Giuseppe Antonio Luchi a Lucca fino al 1767. Successivamente si trasferì a Roma nel 1769 con il collega Stefano Tofanelli. I due non furono accettati come studenti da Pompeo Batoni ma riuscirono a inserirsi nella scuola di Niccolò Lapiccola dove sviluppò uno stile barocco con suggestioni neoclassiche.

L’apoteosi di Santa Prudenziana, Santa Prudenziana, Roma

Nocchi fu notato da Papa Pio VI nel 1780 il quale gli affidò la pittura dei Sacri Palazzi Apostolici e poi nel 1785 la Stanza delle Stampe della Biblioteca Vaticana. Successivamente Nocchi lavorò anche fuori dalla capitale, in particolare a Gubbio dove nel 1797 realizza Il transito di San Giuseppe nella Chiesa di San Secondo, a Spoleto, a Lucca dove realizza Morte di Sant’Anna nella Basilica di San Frediano nel 1804, a Catania, ecc.

Tornato a Roma, Nocchi dipinse alcuni dei suoi migliori quadri, come Il principe Camillo Borghese nel 1799, L’apoteosi di Santa Prudenziana, San Novato e San Timoteo nel 1803 e Pio VII nel 1807.

Nocchi muore a Roma nel 1812, senza aver forse espresso a pieno la sua genialità a causa di un temperamento debole e situazioni politiche avverse.

Il figlio Pietro Nocchi eredita le qualità artistiche del padre e continua la tradizione pittorica della famiglia.

Dalla

TRECCANI

NOCCHI, Bernardino

Dizionario Biografico degli Italiani (2013)

di Alessandra Nannini

NOCCHI, Bernardino. – Nacque a Lucca l’8 maggio 1741 da Giovanni Antonio, disegnatore di architettura, e da Lucia di Pietro Vitali, entrambi lucchesi.

Avviato dalla famiglia allo studio della mercatura, preferì dedicarsi all’esercizio del disegno sotto la direzione del pittore Giuseppe Antonio Luchi, detto il Diecimino. Del 1763 è l’Autoritratto (Lucca, collezione privata) donato all’amico Bartolomeo Talenti, che segnò il suo esordio in pittura. Iscrittosi all’Accademia lucchese di disegno e pittura, nel 1766 ottenne la commissione del frontespizio per i nuovi Capitoli e ordini stampati in quell’anno, raffigurante la Pittura incoronata da un putto che disegna ai piedi dell’arme della Repubblica Serenissima (Arch. di Stato di Lucca, Offizio sopra le nuove arti, carte dal 1751 al 1790), prova del precoce talento e della stima di cui godeva nell’ambiente artistico locale. Membro onorario dell’Accademia, a soli 26 anni ne divenne direttore in sostituzione di Luchi.

Nel 1769, grazie all’aiuto del suo protettore, il nobile Carlo Conti, e del padre, si recò a Roma con Stefano Tofanelli, suo allievo, il quale nel 1783 lo raffigurò, insieme a suo fratello Agostino e suo padre, nel suo Autoritratto (Museo di Roma).

Prima della partenza, Nocchi  eseguì due ritratti del biografo lucchese Tommaso Trenta, di cui non si conosce l’attuale collocazione.

Visse i primi anni nell’Urbe in difficoltà economiche disegnando per incisori e continuando a dipingere per committenti lucchesi, tra cui Cesare Bernardini (il cui ritratto fu lasciato in sospeso). Eseguì pure ritratti della famiglia Torre (Giovannelli, 1985, p. 152). Il principe mecenate Emilio Altieri lo spronò inoltre a studiare le collezioni di antichità classica conservate nel suo palazzo. Non essendo stato accolto nell’Accademia del concittadino Pompeo Batoni, completò l’educazione artistica nella bottega di Nicola Lapiccola, pittore dei Sacri Palazzi.

La prima tela dipinta a Roma fu Il sacrificio di Jefte (Lucca, cappella del palazzo vescovile, 1769-70 circa): appartenuta all’arcivescovo Filippo Sardi, allora canonico di S. Martino, fu commissionata nella città toscana dove si conserva uno Studio di teste (Lucca, Museo Nazionale di Villa Guinigi, Gabinetto dei disegni e delle stampe), durante gli ultimi anni del vescovato di Giovan Domenico Mansi (Arch. di Stato di Lucca, Carte Trenta, XI, c. 282). Echi della cultura figurativa tardo barocca toscana e del Seicento lucchese, con suggestioni dallo stile di Lapiccola, si trovano sia nel Sacrificio sia nel Tobia e l’arcangelo Raffaele, il cui bozzetto è a Lucca in collezione privata. L’episodio fu affrescato da Nocchi a Roma nel 1770-80 nel refettorio dell’Accademia ecclesiastica alla Minerva, insieme alla Cena in Emmaus.

L’apprendistato a fianco di Lapiccola determinò una svolta fondamentale nella sua formazione consentendogli di inserirsi nel mondo artistico romano. Non riuscì tuttavia a ottenere il titolo di accademico di S. Luca, essendogli mancate, per divergenze tra Lapiccola e l’Accademia, le «armi più forti» (Rudolph, 1985, p. 207), ovvero il sostegno di Mengs e Batoni. Nel 1772 il maestro lo associò alla sua bottega e nel 1773 lo chiamò a lavorare al restauro degli affreschi cinquecenteschi di Villa Giulia, dove Nocchi compare come il capofila dei giovani impegnati nell’impresa, tra i quali era anche Tofanelli (Russo, 1990, p. 177).

Contemporaneamente, iniziò gli affreschi nella sala dei Fasti prenestini in palazzo Vidoni Caffarelli, al tempo proprietà del cardinale Gianfrancesco Stoppani, morto nel 1774, prima di vederli terminati (Virtù teologali, Sibille, Virtù cardinali, Evangelisti, Profeti; Guerrieri Borsoi, 1999; cfr. lettera di Nocchi, 30 gennaio 1773, in Giovannelli, 1985, p. 131). Sullo sfondo di un’inedita partitura architettonica di derivazione cinquecentesca, le figure sono collocate secondo una concezione illusionistica barocca, imponendosi come una singolare novità rispetto ai consueti generi della grottesca e del quadraturismo.

Nel competitivo ambiente artistico romano, l’opera sancì l’affermazione di Nocchi che non si allontanò più dalla città, rifiutando nel 1775 l’invito del padre a occuparsi delle decorazioni nel palazzo del nobile Francesco Bernardini a Lucca, e non accettando, dieci anni dopo, la proposta di trasferirsi a lavorare per la corte del Portogallo.

Seguirono comunque anni di difficoltà economiche durante i quali eseguì: nel 1776, il ritratto del Principe card. G. Carlo Bandi, zio di Pio VI, e due repliche dello stesso dipinto (non si conosce la collocazione delle tre tele); nel 1775-76, insieme a Tofanelli, sotto la direzione di Lapiccola, lavorò alle decorazioni nel palazzo papale di Castelgandolfo e, inoltre, nel 1776-77, su commissione del principe Marcantonio IV, alla decorazione a tempera del palazzo Borghese a Roma: Diana che discaccia Callisto, Apollo che consegna Esculapio al centauro Chirone, Giove che apparisce nel suo aspetto divino a Semele, Sileno ubriaco mentre i pastori lo legano e la ninfa Egle gli tinge la faccia con le more (i bozzetti si conservano a Lucca in collezione privata; Giovannelli, 1985, fig. 10). I dipinti sono espressione di un «neoclassicismo à la grècque» (Mellini, 1997, p. 322), come i due tondi con Bacco e Arianna, Giove e Teti (già mercato antiquario; Rudolph, 1985).

Per l’incisore Giovanni Volpato, tra il 1777 e il 1779, copiò, in tela, gli affreschi di Raffaello nelle Stanze Vaticane e due quadri, Diana che vagheggia Endimione e Venere che traveste Amore con i panni di Ascanio. Nel 1779, l’ambizione lo spinse a frequentare l’atelier di Batoni, considerato, a Roma, l’eccellenza nella pratica del disegno (Pompeo Batoni, 2008, pp. 119, 187).

Il 27 novembre 1779 sposò a Roma Clementina Ricci, figlia del pittore Francesco, da cui ebbe sette figli. Tre di loro lo seguirono nella vocazione artistica: Pietro, che fu pittore; Giovanni Battista, incisore, e Odoardo, decoratore (Il palazzo del Quirinale…, 1989, p. 65). Nocchi mantenne sempre rapporti epistolari con la famiglia (per il carteggio Nocchi, conservato nella Biblioteca statale di Lucca, cfr. Giovannelli, 1998; 1999; 2000).

Dalla fine del 1779, durante il regno di Pio VI, lavorò stabilmente per la corte pontificia e grazie alla protezione della famiglia Braschi ricevette importanti commissioni, fra cui la decorazione della volta della sagrestia della cappella Sistina e l’incarico per un piccolo «ritocco sul Giudizio universale di Michelangelo» (Russo, 1990, p. 179).

Nel 1780 subentrò nel ruolo di pittore dei Sacri Palazzi apostolici a Lapiccola, divenuto custode dei palazzi capitolini. Le pitture eseguite fino al 1794 sono documentate nell’Archivio segreto Vaticano (Russo, 1990, pp. 177-208).

Nel 1781 iniziò la decorazione in Vaticano dell’appartamento e della cappella privata del maggiordomo di Pio VI, il cardinale Romualdo Onesti Braschi, nipote del pontefice. Dal 1783 al 1787 fu attivo come restauratore dei Sacri Palazzi, dove probabilmente l’intervento più importante fu il restauro nel 1786 del ciclo pittorico della cappella Paolina, compresi gli episodi della Conversione di S. Paolo e della Crocifissione di S. Pietro di Michelangelo. Sempre in qualità di restauratore intervenne l’anno successivo nella sala regia. Risale a quegli anni la realizzazione de La pittura sulla Rupe Tarpea mentre consegna il ritratto di Pio VI alla Fama, 1787, allegoria apologetica del disegno, dipinta nella volta della distrutta sala delle Stampe nella Biblioteca Vaticana, e di quattro sovrapporte della medesima sala. Una serie di modelletti dipinti, conservati a Lucca in collezione privata documentano la genesi dell’intero ciclo pittorico della sala (Giovannelli, 1985, pp. 121-123; Arch. di Stato di Lucca, Carte Trenta, XI, cc. 282-283, 287 con descrizione delle pitture perdute).

A partire dal 1787 lavorò nel palazzo della Consulta al Quirinale alle decorazioni dei tre appartamenti sul lato sud che costituivano la residenza del cardinale Romualdo Onesti Braschi, divenuto segretario dei Brevi nel 1787. In particolare si occupò della decorazione di tre stanze nell’appartamento di rappresentanza, di cinque stanze in quello invernale e di una stanza, il cosiddetto Gabinetto nella retrocamera della parte del cortile, in quello estivo (Nevola, 2004, p. 301). Dell’intera decorazione il salone di rappresentanza, ovvero la terza stanza dell’appartamento signorile, costituisce il nucleo dominante della terza fase decorativa, realizzata da marzo a ottobre 1788. Interamente decorato da Nocchi con dipinti a grisaille e motivi a grottesche che richiamano il quarto stile pompeiano, il salone presenta scene legate al mito di Proserpina a partire dalla raffigurazione di Cerere che ricorre a Giove per riavere Proserpina rapita da Plutone, che campeggia al centro della volta.  Nella seconda stanza dell’appartamento di rappresentanza si trovava una grande tela di cui rimane oggi nel palazzo solo un frammento della metà superiore, raffigurante la Fama. La metà inferiore con il Genio del sovrano che fa cenno di entrare nel Museo Pio alle figure allegoriche della pittura, scultura e architettura si conserva al Museo di Roma, dove si trova anche il bozzetto del dipinto, prezioso documento della composizione completa che raffigurava l’Allegoria del Museo Pio. L’ornamentazione della Consulta, in gran parte compromessa in epoca umbertina, 1870-74, fu terminata nel 1790 (Russo, 1990, pp.181-192; Nevola, 2004).

Alla fine del nono decennio risale anche la decorazione a tempera, di 44 ‘cammei’ istoriati, a monocromo, entro partiture architettoniche (1788-90) nella volta della galleria dei Quadri, oggi degli Arazzi, nel nuovo Museo Pio Clementino in Vaticano.

I dipinti (cinque lunette sono perdute) celebrano le virtù del pontefice Pio VI. Il lavoro, ideato da Nocchi su modello della glittica, anticipando il gusto neoclassico e lo stile impero (Rudolph, 1985, p. 218), fu eseguito da Domenico Del Frate, in qualità di supervisore, e Francesco Staccioli con Giuseppe Todrani, come collaboratori. I bozzetti e i cartoni furono realizzati da Agostino Tofanelli (Arch. di Stato di Lucca, Carte Trenta, XI, cc. 287, 291, 296).

Intorno al 1792 Nocchi copiò, per incisione, le statue antiche che ornavano il palazzo Borghese e il casino della villa Pinciana a Roma stampate, in parte, nel 1821, dall’amico Ennio Quirino Visconti. Del 1794 è Il pianto di Ulisse (Lucca, Museo nazionale di Palazzo Mansi), dipinto che gli fu commissionato, insieme al ‘pendant’ Ulisse ritornato a Itaca, dal nobile lucchese Carlo Conti. Gli venne, inoltre, commissionata, nel 1796, la perduta tempera su muro con La Visita di Pio VI alle paludi Pontine (già, Tor Tre Ponti, convento dei Cappuccini).

Negli anni della maturità, si dimostrò abile ideatore di scene sacre, cariche di pathos e dipinte con magistrale perizia nei particolari. Si tratta di opere che, pur nella loro teatralità, esprimono un realismo empatico, funzionale alle esigenze della committenza ecclesiastica, feconda fino al tramonto del XVIII secolo e agli inizi del XIX. Tra esse meritano una citazione: il Transito di s. Giuseppe e S. Agostino confonde gli eretici manichei, 1785-87 circa, chiesa di S. Secondo, Gubbio; S. Chelidonia che medita la Passione di Cristo, 1788, chiesa di S. Andrea, Subiaco (quadro ordinatogli da Pio VI che era stato abate commendatario sublacense); la Morte di s. Andrea d’Avellino 1790 circa, duomo, Spoleto; la Trinità con una Gloria d’angeli e quattro ss. cappuccini, 1796 (pala d’altare destinata al convento dei Cappuccini di Tor Tre Ponti e mai consegnata per l’arrivo delle truppe francesi. Fu ceduta per scontare l’affitto della casa); l’Immacolata Concezione, 1804, cappella dell’Ospedale civile, Macerata (già in Maria Ss. della Concezione al ricovero – ex chiesa dei Cappuccini); S. Euplio martire, 1801-03, chiesa di S. Nicola all’Arena, Catania; la Gloria di s. Pudenziana, 1803-1806, chiesa di S. Pudenziana, Roma, altar maggiore (quadro lodato dall’abate Giuseppe Antonio Guattani e commissionato nel 1803, grazie a Canova, dal cardinale titolare, Lorenzo Litta); la Morte di s. Anna, 1804-05, chiesa di S. Frediano, Lucca, cappella Buonvisi (il quadro fu dipinto in memoria della moglie deceduta nel 1804).

Anche nella ritrattistica, alla quale si era dedicato fin dagli esordi a Lucca, si distinse per la profondità dell’indagine psicologica e per la qualità raffinata della pittura, frutto di studi preparatori assidui, che ne dimostrano «l’altissimo mestiere» (Ciardi, in Recensir col tratto, 1989, p. 11) e la singolarità del suo metodo operativo. Sono da ricordare: il Ritratto di P. Bandettini, antiquario, 1790 circa (Firenze, collezione privata) il Ritratto equestre del duca Luigi Braschi Onesti (nipote di Pio VI), 1793 circa (già villa Braschi Theodoli a Zola Pedosa) e il Ritratto di Camillo Borghese, 1798-99 (Torino, Galleria Sabauda), dipinto durante la Repubblica Romana.

In linea con i suoi interessi di studioso e collezionista, conservava nel suo atelier centinaia di libri, piccoli quadri, bozzetti, stampe, frammenti, gessi e statue da lui utilizzati come modelli per le composizioni artistiche. La notorietà acquisita gli consentì di lavorare assiduamente, nonostante dal 1797 l’occupazione di Roma da parte dei francesi avesse diminuito le committenze. Disegnò per l’amico Canova la vignetta di un diploma accademico e riportò su tela diverse sue sculture, fra cui Alexandrine de Bleschamps come Tersicore, 1806-08 (Lucca, Museo nazionale di Palazzo Mansi; Il Tempo del Bello…., Venezia 1998, pp.140-143). Preparò i bozzetti per la beatificazione dello spagnolo Giuseppe Oriol e ottenne altri incarichi, non andati a buon fine, dal conte Giuseppe Baglioni di Perugia. Nel 1806 fu nominato socio dell’Accademia lucchese Napoleone insieme a Canova, Morghen, Appiani e David. L’anno successivo, per il cavalier Giovanni Collio dipinse Mercurio annuncia a Calipso che deve lasciare Ulisse (San Severino Marche, collezione privata), tela di soggetto affine al Pianto di Ulisse che si conserva a Lucca; si ricordano inoltre numerosi ritratti di Pio VII (Mellini, 1997, p. 323), fra cui quello della Biblioteca Malatestiana di Cesena. Nel 1809 dipinse, in posa devozionale, l’effigie della regina Maria Adelaide Clotilde di Francia (sorella di Luigi XVI) sposa del re di Sardegna, morta in odore di santità a Napoli nel 1802 e dichiarata venerabile nel 1808. Il quadro era destinato al papa. A Nocchi furono affidate altre cinque immagini della venerabile e il ritratto del prete postulatore della causa di beatificazione della regina. In previsione dell’arrivo di Napoleone e Giuseppina Beauharnais, nel 1811 ottenne l’ultima prestigiosa commissione di decorare gli appartamenti del Quirinale con due storie mitologiche, ma la morte gli impedì di realizzare i dipinti, la cui esecuzione fu affidata al figlio Pietro, su suo disegno (Il palazzo del Quirinale…, 1989, p. 66).

Morì a Roma il 27 gennaio 1812.

Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Lucca, Carte Trenta, XI, cc. 281-302; Ibid, Legato Cerù 193, p. 77; Ibid., Consiglio generale 641, cc. 2083 – 2084; R. Giovannelli, Nuovi contributi per B. N., in Labyrinthos, IV (1985), 7-8, pp. 119-199 (con bibl.); S. Rudolph, Il punto su B. N., ibid., pp. 200-231 (con bibl.); Giovanni Volpato 1735-1803 (catal.), a cura di G. Marini, Bassano 1988, p. 19;  Memoria storica e attualità tra Rivoluzione e Restaurazione. Bozzetti e modelli dalla fine del XVIII alla metà del XIX secolo (catal.), a cura di C. Bon Valsassina, Torgiano Foligno 1989; Recensir col tratto. Disegni di B. e Pietro Nocchi (catal.), a cura di R.P. Ciardi – A. Tosi, Lucca 1989 (con bibl.); Il palazzo del Quirinale, il mondo artistico a Roma nel periodo napoleonico, a cura di M. Natoli – M.A. Scarpati, II, Roma 1989, pp. 65 s.; V. Casale, La pittura del Settecento in Umbria, in La pittura in Italia. Il Settecento, I, Milano 1990, pp. 361, 369, fig. 505; L. Barroero, La pittura a Roma nel Settecento, ibid., pp. 437, 443, 463 nn. 109, 121; F. Rangoni, ibid., II, pp. 809 s.; M.F. Russo, Ipotesi di ricostruzione del percorso di B. N. nei Sacri Palazzi apostolici e in particolare nel palazzo della Consulta. Documenti e disegni inediti, in Temi di decorazione, dalla cultura dell’artificio alla poetica della natura, a cura di E. Debenedetti, Roma 1990, pp. 177-208; S. Susinno, La pittura a Roma nella prima metà dell’Ottocento, in La pittura in Italia. L’Ottocento, Milano 1991, I, pp. 405 s.; R. Giovannelli, Spigolature al seguito di B. N., in Labyrinthos, XI-XII (1993), 21-24, pp. 253-304; Id., Per Stefano Tofanelli, ibid., XI-XII (1993), 21-24, pp. 393-430; R.P. Ciardi – A. Tosi, G.A. Luchi. Il Diecimino. Pittura a Lucca nel  ‘700 tra Bologna e Venezia, Lucca 1993, p.13; E. Fumagalli, Palazzo Borghese, Roma 1994, fig.203; F.C. Uginet, Portrait d’une reine, un tableau de B. N. à l’abbaye de Hautecombe (Savoie), in «Alla signorina», Mélanges offerts à Noëlle de La Blanchardière, Roma 1995, pp. 381-394; O. Michel, in The Dictionary of art, XXXIII, London-New York 1996, p. 173; G.L. Mellini, Epilogo per B. N., in Scritti in onore di A. Marabottini, a cura di G. Barbera – T. Pugliatti – C. Zappia, Roma 1997, pp. 321-328; Il Tempo del Bello. Leopardi e il Neoclassicismo tra le Marche e Roma, Venezia 1998, pp. 140-143; R. Giovannelli, B. N. – Lettere familiari, 1 (1769-1800), in Labyrinthos, XVII (1998), 33-34, pp. 241-270; Id., B. N. – Lettere familiari,  2 (1801 – maggio 1806), ibid., XVIII (1999), 35-36, pp. 249-268; M.B. Guerrieri Borsoi, Il fasto della porpora. Il cardinale Giovan Francesco Stoppani; il suo palazzo; la sua collezione d’arte, in Storia dell’arte, 1999, n. 96, pp. 193-198, 213; R. Giovannelli, B. N. – Lettere familiari, 3 (6 giugno – 18 dicembre 1806), in Labyrinthos, XIX (2000), 37-38, pp. 195-213; L. Barroero, I dipinti settecenteschi: un progetto romano, in La cattedrale di Spoleto. Storia, arte, conservazione, a cura di G. Benazzi – G. Carbonara, Milano 2002, pp. 343-349; F. Nevola, B. N. al palazzo della Consulta, in Id. – V. Palmer, Il palazzo della Consulta e l’architettura romana di Ferdinando Fuga, Roma 2004, pp. 231-308; E. Debenedetti, Otto nuovi disegni tra Pio VI e Pio VII, in Bollettino d’arte, s. 6, LXXXIX (2004), 129, pp. 95, 103; G. Capitelli, Quadri da altare: pittura sacra a destinazione pubblica, in L’Ottocento in Italia. Le arti sorelle, a cura di C. Sisi, I, Il Neoclassicismo 1789-1815, Milano 2005, pp. 41-52; M.D. Shepheard, «Will the real Boccherini please stand up», new light on an Eighteenth- century portrait in the National Gallery of Victoria, in Melbourne Art Journal, 2007, n. 9-10, pp.176-197; Pompeo Batoni 1708-1787. L’Europa delle Corti e del Grand Tour (catal.), a cura di L. Barroero – F. Mazzocca, Milano 2008, pp. 37, 41, 119, 187, 348.

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Dalla

TRECCANI

FERRERI, Vincenzo

Dizionario Biografico degli Italiani

Volume 46 (1996)

 

di Graziella Sica

FERRERI, Vincenzo. – Nacque a Perugia nel 1762, stando a quanto indicato nell’atto di morte; nei registri parrocchiali che lo menzionano l’anno di nascita oscilla invece tra il 1762 e 1764 (per i documenti cui si fa riferimento nel corso della voce cfr. Sica, 1989).

È documentato a Roma a partire dal 1785, quando risulta attivo Presso la scuola del nudo tenuta dall’Accademia di S. Luca, ove ottenne anche premi nell’ambito dei concorsi interni: nel marzo 1785 il I’ premio della seconda classe; nel settembre 1786 il 2º premio della seconda classe; nel marzo 1787 il 1º premio della prima classe (presso l’Archivio sono conservati i disegni relativi). Le sue prime opere conosciute si trovano, comunque, a Perugia, in un piccolo oratorio annesso alla chiesa dei Ss. Andrea e Bernardino.

Per tale oratorio il F. eseguì nel I 790 due tele, ancora oggi poste sulla parete d’ingresso, raffiguranti S. Bernardino che ricusa la dignità cardinalizia e il vescovado di Siena e S. Andrea che abbraccia la croce. Gli altri dipinti dell’oratorio sono di Marcello Leopardi, del quale il F. fu probabilmente allievo. Gli stretti legami fra i due artisti risultano confermati dal fatto che nel 1796 il F. tenne a battesimo un figlio del Leopardi, a quel tempo residente a Roma.

Dal 1792 il F. visse stabilmente a Roma, ove ottenne, nello stesso anno, il 2º premio per la pittura in occasione del concorso Balestra con la tela MuzioScevola che giura davanti al re Porsenna di vendicare la patria (Roma, Galleria dell’Accademia di S. Luca). Nel 1793 vinse un nuovo premio per un concorso bandito dall’Accademia di belle arti in Parma; il tema era il Sacrificio di Polissena (Galleria nazionale di Parma) e il dipinto suscitò l’approvazione di A. Canova. Per un decennio non si ha più alcuna notizia sull’attività artistica del pittore, fino a quando, nel 1812, venne incaricato di dipingere una tela, terminata nel 1813 e ora perduta, raffigurante un Gruppo di Amori con oggetti da toletta, destinata al gabinetto di toilette dell’imperatrice nel nuovo palazzo imperiale che Napoleone aveva fatto allestire al Quirinale. Per l’appartamento dell’imperatrice, inoltre, nel 1813 furono commissionati al F. quattro dipinti di soggetto sconosciuto, sulla cui esecuzione non si hanno ulteriori notizie (Natoli-Scarpati, 1989). In seguito alla decisione presa da Pio VII di dare una nuova decorazione alla cappella Paolina dello stesso palazzo del Quirinale, ridivenuto residenza papale, il F. dipinse a monocromo i Ss. Mattia e Paolo nel corso del 1818.

Dello stesso anno è un’altra importante commissione, la realizzazione ad affresco di una delle lunette nella Galleria Chiaramonti del Museo Vaticano: il F. eseguì Lemissione di leggi per la protezione delle antichità. Ancora nel 1818 portò a termine la XII (Gesù muore sulla Croce) delle 14 stazioni della Via Crucis, offerte da vari artisti alla chiesa di S. Andrea delle Fratte.

Per la beatificazione di Giambattista della Consolazione, celebrata solennemente in S. Pietro il 26 sett. 1819, il F. venne incaricato di realizzare vari dipinti che, insieme ad altre decorazioni, ornavano la basilica ed avevano la principale funzione di illustrare episodi salienti della vita del beato. Portò a termine lo stendardo raffigurante il Beato, un Miracolo da lui compiuto, due medaglioni con altri prodigi e l’ovale con il Beato in gloria (Diario di Roma, 28 sett. 1819). Nel corso del 1825 fu impegnato più volte nel compimento di tele analoghe in occasione di altre beatificazioni: il 23 maggio fu celebrata quella di frate Giuliano di S. Agostino, il 12 giugno fu la volta di Alfonso Rodriguez e il 19 giugno di Ippolito Galantini. Nelle due ultime occasioni i dipinti vennero eseguiti con la collaborazione di Angelo De Angelis. Due quadri relativi al Galantini – lo stendardo con il Beato e l’ovale raffigurante la sua Gloria – vennero riutilizzati nel gennaio 1826 nella chiesa di S. Maria del Pianto (Sica, 1989). I dipinti riguardanti il beato Giuliano furono poi probabilmente esposti nella chiesa di S. Venanzio de’ Camerinesi in occasione delle celebrazioni in suo onore, svoltesi il 6, 7, 8 apr. 1826 (Diario di Roma, 12 apr. 1826). Nel dicembre di quello stesso anno il F. esegui un Sacro Cuore di Gesù per l’Oratorio del Caravita (Arch. d. Compagnia di Gesù, Caravita, GS 1989 E2z).

L’ultima notizia circa la sua attività è il restauro operato nel 1832 sugli affreschi di S. Stefano Rotondo (Buchowiecki, 1967, p. 953). Il F. morì a Roma nella notte tra il 7 e l’8 ott. 1837.

Bibl.: G. B. Rossi Scotti, Guida illustrata di Perugia, Perugia 1878, p. 87; L. Hautecoeur, LAcadémie de Parme et ses concours à la fin du XVIIIe siècle, in Gazette des beauxarts, II (1910), p. 162; G. Briganti, Ilpalazzo del Quirinale, Roma 1962, p. 34; W. Buchowiecki, Handbuch der Kirchen Roms, Wien 1967, I, p. 336; III, pp. 953, 980; D. Ternois, Napoléon et la décoration du palais impérial de Monte Cavallo en 18111813, in Revue de lart, VII (1970), p. 80; U. Hiesinger, Canova and the frescoes of the Galleria Chiaramonti, in The Burlington Magazine, CXX (1978), p. 658; G. Allegri Tassoni, in Larte a Parma dai Farnese ai Borbone, Parma 1979, p. 215; LAccademia parmense di belle arti, a cura di M. Pellegri, Parma 1979, p. 37; Ilpalazzo del Quirinale. Il mondo artistico a Roma nel periodo napoleonico, a cura di M. Natoli-M. A. Scarpati, Roma 1989, I, p. 569; G. Sica, ibidem, II, p. 34 (con ulteriore bibl.); U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, XI, p. 473.

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