1804, tre infauste vicende

1804
LA PESTE DI LIVORNO
L’ALLUVIONE DEL TEVERE
LE CASSE DELLO STATO PONTIFICIO VUOTE
Ed ora rimettiamoci in ordine di tempo.
Il Cardinale voleva per un po’ riposarsi dai problemi napoleonici e cosa c’era di meglio, mentre il Papa si trovava a Parigi, che darsi all’amministrazione ordinaria dello Stato? Sperava, ma non fu così.
Nel tempo della di lui assenza, che fu di circa 6 mesi, io ebbi a soffrire tutte insieme tre infauste vicende, che renderono sommamente difficile e critica .la mia posizione. Io ebbi la disgrazia di vedere assalito lo Stato da 3 flagelli terribili, tutti a un tempo.
1) la peste di Livorno, la qual’obligò a formar cordoni e a prendere altre necessarie precauzioni, quanto dispendiose altrettanto produttrici di querele e malcontento di tutti quelli, che dovevano assoggettarvisi, e di impegni ancora i più ardui ed amari coi Ministri esteri per le loro Poste e Corrieri e altre cose simili;
2) una fortissma inondazione del Tevere, di cui non ci era memoria da più secoli, che allagò quasi due terzi o almeno la metà di Roma e che obligò pure a dispendii gravissimi ed espose a pericoli di sommosse per la mancanza dei necessarii sussidii, i quali la scarsezza delle piccole barche e di altri opportuni mezzi non permetteva di recare in tutte le parti della città e suoi circondarii con quella prontezza, che il vero bisogno o il panico timore o la frode e avidità richiedevano; ed è facile di concepire quanto tali pericoli di sommossa fossero più da temersi nell’assenza del Sovrano e specialmente di un Sovrano Papa, che nel rispetto a questa stessa sua qualità ha quelle risorse e rimedii, che un semplice Ministro non poteva avere;
3) un vuoto immenso in tutte le pubbliche Casse, le quali, già esaurite dalle passate vicende, furono, come suol dirsi, ripulite intieramente per le spese del viaggio del Papa e dei regali da farsi da lui in tutti i luoghi delle sue fermate e nelle due Corti di Toscana e di Francia non meno alle famiglie sovrane, che ai loro Ministri e gente di Corte, le quali spese avevano obbligato ad esaurire, oltre le Casse, anche altre risorse, anche i soccorsi dei finanzieri banchieri, ai quali in tali urgenze potevo rivolgermi.
Ma con le più indefesse cure e più col favore del Cielo, riescì di non naufragare, ne urtare in alcuno scoglio. Nè l’ordine, nè la tranquillità furono turbati: il Papa tornò ed ebbe la clemenza di chiamarsi soddisfattissimo della mia condotta in ogni cosa nel tempo della sua assenza.
Sono rimasto un po’ sorpreso per ciò che riguarda la peste di Livorno. Nonostante le molte ricerche da me effettuate su questo episodio del 1804 o 1805, non ho trovato nulla.
A Livorno è accaduto di tutto. Famosa è la peste del 1564 e del 1629, il colera del 1835. Invece qualcosa ho trovato per ciò che riguarda la “Febbre gialla”. Sicuramente, dato che il periodo è proprio quello, il Cardinale si riferiva a questa malattia.
Trovo conferma su questa malattia nei documenti di archivio della città di Lucca alla voce MAGISTRATO DI POLIZIA, FORZA ARMATA E DIFESA PUBBLICA 1803-1805: “1804, 85, 86. (Tit. est.) Affari Sanitari. Scritture. I – II.
Sono quasi tutti fogli relativi alla temuta invasione della febbre gialla, che da Filadelfia in America era passata a Malaga e quindi a Livorno. Fu tirato un cordone sanitario ai confini dello Stato, si apprestarono lazzaretti e si presero altre assai precauzioni per salvare dal morbo il paese di Lucca.”
Contemporaneamente alla febbre gialla di Livorno, furono insediati al Governo di Lucca da Napoleone, il 27 giugno 1805, la propria sorella Elisa con il marito Pasquale Baciocchi, il quale si fece chiamare Felice I Principe di Lucca e Piombino.
Continua con Elisa il valzer delle sistemazioni dei parenti. Napoleone aveva iniziato, facendolo eleggere Cardinale, con lo zio Fesch, un altro personaggio che perseguiterà per tutta la vita il nostro Cardinale.
L’inondazione del Tevere, invece, avviene il 31 gennaio 1805, in pieno inverno. Una vera catastrofe, che mette Roma per due terzi sott’acqua, per il Governo Pontificio, che deve far fronte a spese ingenti per trovare cibo, trasferimento della popolazione nell’entroterra e, naturalmente, per i sussidi e la ricostruzione.
Colpisce che nei soli 6 mesi di assenza del Papa, egli riesca a ricostruire Ponte Mollo, oggi detto Ponte Milvio, e a migliorare la via Flaminia (ora sappiamo perché la piazza, su cui esso è appoggiato, è tutt’ora chiamata Piazza Consalvi).
La inondazione del Tevere avendo fatto rovinare la parte di legno del ponte Molle, gli si fece trovare questo ponte nuovamente costrutto nella parte del suo accesso verso di Roma senza la pericolosa e incomoda obliquità, che prima vi si trovava, e con il diretto ingresso per il gran foro fatto nella antica torre, dedicando al suo ritorno in Roma quell’opera tanto comoda e tanto applaudita. Egli (il Papa) trovò pure aperta per la prima volta la nuova strada Flaminia, costrutta in più comoda forma e più vantaggiosa all’erario, ed onorò della sua sovrana approvazione quelle nuove opere.
Ringrazio il Wichterich per aver trovato un episodio particolare, che non poteva naturalmente trovarsi nelle Memorie, riguardante l’inondazione del Tevere.
Mezza città fu allagata e tagliata fuori dal mondo circostante. Il disastro avvenne di notte. Nel quartiere di Ripetta l’acqua salì rapidamente, raggiungendo ben presto i piani superiori, così che gli abitanti sorpresi nel sonno dovettero rifugiarsi sui tetti.
Le barche di salvataggio che dovevano portare i viveri e trasportare altrove i malati, per la maggior parte non furono di alcun aiuto, perché i rematori temevano di lasciarci la vita.
Quando i flutti avevano raggiunto il Corso, che è molto lontano dal fiume, e minacciavano i quartieri alti, in una grossa barca guidata da alcuni rematori apparve il Cardinale Consalvi, vestito di porpora. Portava abiti e cibi, quanti poteva contenerne l’imbarcazione, e si fermò nei punti più danneggiati per distribuire i sui doni.
L’esempio accese gli animi. In una cronaca (ecco dove il Wichterich l’ha saputo!) si narra che, commossi da questo esempio d’amor prossimo, che sfidava un grande pericolo, ma era l’espressione del massimo adempimento del dovere, altri: principi, prelati, borghesi, gente del popolino, si distinse soprattutto il giovane principe Aldobrandini, non vollero essere da meno di lui. La spinta era stata data. Ora ognuno si affrettava a fare altrettanto. Dopo 52 ore l’acqua si ritirò. Vi era una infinità di lavoro da compiere per riparare i danni.”
Se prima avevo una grande ammirazione per il mio antenato, ora provo anche una certa commozione. Sembra che anche allora la notizia dell’alluvione e del comportamento del Cardinale sia arrivata velocemente nelle Capitali italiane ed europee.
Sia Pio VII, che si trovava a Parigi, che l’Imperatore ne furono subito informati.
Ce ne parla il Wichterich: “Nella lettera di ringraziamento del Papa, c’è un breve post-scriptum in cui si dice che l’Imperatore aveva molto lodato ed ammirato il suo coraggio e che Giuseppina aveva pianto di commozione e gli mandava un ricordo”.