1816, la grande carestia

1816
la grande carestia
Fu molto difficile per il Segretario di Stato gestire lo Stato Pontificio in quel periodo post-napoleonico, le cui guerre avevano messo in ginocchio persino l’economia di base, ovvero quella contadina.
La criminalità e l’economia erano i principali problemi.
Il Governo pontificio ripristina la ghigliottina, nonostante l’avversione per questa “macchina di morte” introdotta dai Francesi, perché ritenuta uno strumento agile e veloce per eseguire le condanne a morte. Tommaso Borzoni, reo di “omicidi e ladrocini”, fu il primo ad essere ghigliottinato, il 2 ottobre 1816,sotto il nuovo Governo Pontificio.
Una terribile carestia colpì le Marche, spingendo popolazioni intere verso la campagna romana.
Il prof. Gellio Cassi ce ne parla esaurientemente in un suo libro pubblicato nel 1931.
In questo libro di 213 pagine, intitolato proprio al Cardinal Consalvi, egli tratta la “grande carestia” nei territori pontifici ed in particolare in quelli marchigiani e romagnoli.
Nella prefazione il prof. Gellio Cassi ci preannuncia di avere molta documentazione utile per un seguito, cosa che purtroppo non è avvenuto. Difficile è rintracciare i suoi eredi, in quanto i Cassi sono talmente tanti che sarebbe stata un’impresa impossibile, ed è un vero peccato dover rinunciare per il momento a tutta quella documentazione che il professore dice di aver raccolta nell’Archivio segreto vaticano.
Di questo libro, molto interessante, si riportano qui pochi paragrafi, ritenuti però più che sufficienti a far capire le enormi difficoltà a cui il Cardinale, tornato da Vienna, andò incontro, venendone però comunque fuori con successo e soddisfazione.
La Rivoluzione Francese e le guerre, che ne scaturirono, apportarono gravi perturbazioni economiche, gettando i popoli in una tale crisi, dalla quale a stento e solo lentamente si sarebbero risollevati.
Le popolazioni del continente europeo che più ne risentirono furono le più povere e, insieme ad esse, quelle più lontane dal mare e quelle più lontane dalle grandi vie di comunicazione, dai maggiori centri di vita.
Il che spiega come le genti alpine soffrissero più che quelle della pianura padana le conseguenze della crisi, per le medesime ragioni, per cui il disagio fu sentito, nei domini pontifici, maggiormente nel versante adriatico più povero, che in quello tirrenico più ricco di risorse, senza dire che il primo fu flagellato, nel periodo 1815-17, da una terribile carestia, sorta da un complesso di fatti meteorici ed agrari, mentre si rendeva non sempre agevole il rifornimento per mare, battuto ancora dai pirati, triste retaggio della guerra di corsa anglo-francese.
Il disagio appariva più forte dove la guerra aveva lasciato più profonde le sue tracce. Esso non fu in nessun luogo d’Italia così grave come nelle Romagne e nelle Marche, dove spesso mancavano i cibi più indispensabili e dove la gente moriva addirittura di fame.
I primi rapporti, che avvertono una condizione generale di disagio per le Marche, sebbene ancora non grave, sono del novembre 1815.
Nella provincia di Macerata, a gennaio i furti appaiono frequenti ed i piccoli furti, soprattutto quelli campestri, vanno aumentando in modo impressionante. A febbraio la miseria seguita ad angustiare ed in primavera la situazione non è migliore. Basti dire che i furti sono cresciuti e l’autorità incomincia a preoccuparsi, perché teme lo scoppio di una rivolta.
In agosto il grano è aumentato di prezzo e così si tira avanti fino a novembre, quando cioè si annuncia un inverno, che certo sarà terribile, perché si sentiranno le conseguenze di due annate disastrose.
Intanto schiere di indigenti cominciano a calare dalle montagne ed a scendere nelle vallate.
Dei piccoli tumulti, qua e là, non mancano, come ad esempio, uno di donne ad Osimo e, più forte che altrove, ad Ancona.
Il bisogno è così impellente che gli abitanti di Casteldolci e Ville inviano una petizione al Cardinal Consalvi, nella quale è detto che essi "sono costretti a morir di fame, come già comincia a succedere in alcune famiglie".
La Segreteria di Stato non manca di correre ai ripari, provvedendo di grano i luoghi che ne sono scarsi, con quella rapidità che i mezzi di allora consentivano.
I rapporti della Polizia proseguono ed appaiono i primi deceduti per inedia, oltre a qualche caso di pazzia, prodotta dalla fame.
Cresce il disagio, cresce il malcontento e la gente finisce col vedere in tutti gli Ebrei null’altro che degli incettatori e dei monopolisti.
Peggio in dicembre, dal momento che i rapporti della Polizia ci fanno sentire il grido di disperazione di tante persone, che soffrono per l’estrema miseria e che dichiarano “di essere disposte a ceder le loro poche sostanze e disperdersi per il mondo".
In quel di Fermo e di Ascoli altre delizie: piogge dirotte, venti impetuosi e qualche immancabile scossa di terremoto.
Il che viene ad aggravare la situazione di province, in parte infestate dai malviventi e dai contrabbandieri, con i viveri sempre più cari e con le rapine, che si susseguono incessantemente.
Nel Bollettino di marzo in quel di Sarsano, nei volti dei contadini "si scorge il pallore della morte, alcuni di essi sono periti, altri si pascono di immonde ghiande e di seme di canape, nonchè di erbe, a guisa di bestie".
Il 1817 non si apre con lieti auspici, perché la situazione economica, così atroce l’anno precedente, non è, in sostanza, mutata.
La miseria fa scendere molta gente dalle montagne, e si ritrovano degli individui "semivivi per la fame".
Insomma, la situazione era drammatica.
Tra gli innumerevoli personaggi, a cui il Cardinale chiederà consigli e collaborazione, troviamo una sorpresa: il Cardinale si era rivolto anche al suo altrettanto illustre parente e contemporaneo, il matematico Vincenzo Brunacci.
Ce lo conferma lo stesso Brunacci:
Fu appunto in quet’epoca (1816) che il Governo Pontificio bramò di sentire in iscritto il ragionato parere del nostro Analista sull’articolo 97 del Congresso di Vienna per la ripartizione dei debiti degli Stati che componevano il Regno d’Italia; e la politica ebbe in tal caso un bisogno indispensabile dei lumi della matematica”.