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Angelo Brunacci e Goffredo Mameli

http://cronologia.leonardo.it/storia/a1848f.htm
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http://www.archiviodistatovenezia.it/siasve/cgi-bin/pagina.pl?Chiave=6715&Tipo=fondo
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ANGELO BRUNACCI e GOFFREDO MAMELI
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Il 16 settembre 1848, al Teatro Carlo Felice di Genova, si tiene una manifestazione per raccogliere fondi a favore di Venezia.

In questa riunione, erano presenti “i signori Brunacci” (il tenore Angelo ed il soprano Emma Brunacci) e Goffredo Mameli, il quale lesse una sua composizione intitolata “Milano e Venezia”.

Nella “Raccolta, per ordine cronologico, di tutti gli atti, decreti, nomine, ecc., del Governo Provvisorio di Venezia, tomo IV, stampato a Venezia nel 1848“, a pag. 180 troviamo sia Goffredo Mameli che il tenore fiorentino Angelo Brunacci.

Riporto qui di seguito il testo dell’articolo:
ESTRATTO DAL CORRIERE MERCANTILE DI GENOVA
DEL 18 SETTEMBRE 1848

Nella sera di sabato (16) davasi nel Teatro Carlo Felice una grande Accademia poetica istrumentale e vocale a pro di Venezia.
Immensa era la folla convenuta per quell’opera santissima.
Il trattenimento era diviso in tre parti.
Nella prima si distinsero, tra i cantanti, le signore Abbadia, Parodi, De Giulj-Borsi e Gazzaniga, e i signori Brunacci, Gnone e (Giovanni) Garibaldi.
Il signor Giuseppe Venturi di Trento, giovane di distinto ingegno poetico e provato valor militare, declamò il primo canto di un suo poema in onore della gioventù Patavina, Le cospicue bellezze poetiche che ad ogni strofa splendono in quell’ispirato frammento, venivano accolte con ripetute salve di applausi.
Nella seconda parte i signori Manari, Bianchi e Mirate e la signora Sannazzari aggiungevansi alla eletta schiera degli artisti, ed il Mameli diceva una poesia a Venezia e a Milano, sfavillante per quei grandi concetti che lo costituiscono una tra le più fondate speranze della gloria letteraria Italiana.
Chiudevasi nella terza parte la serata con scelti squarci di musica e con un inno a Venezia del sig. Arnaldo Fusinato da Vicenza, giovane noto alla patria nostra per caldo sentire e per forte intelletto non meno che per coraggio cittadino.
Il Fusinato pubblicherà fra breve alcune sue poesie con quella di Mameli a benefizio di Venezia.
Non solamente gli egregi artisti che cantarono nella sera di sabbato si prestarono gratuitamente al nobile scopo di soccorrere quella Venezia che può considerarsi vero sacrario dell’Indipendenza Italiana, ma ben anco vi concorsero per la somma di lire nuove 600.
Circa tre mila biglietti si esitarono a 5 fr. cadauno.
È bello il vedere la superba capitale della Liguria soccorrere tanto splendidamente la sua grande sorella dell’Adria, quella gran Mendica, per la quale l’amico nostro Mameli con quelle parole impetrava:
Date a Venezia un obolo;
Non ha la gran Mendica
Che fiotti, ardire ed alighe
Perchè è del mar l’amica.
Sola fra tante infamie
Ella è la nostra gloria.
.
Un’altra turpe istoria,
Se questa illustre povera
Viene a morir di stento,
Udrebbe il mondo intento:
Pane chiedea Venezia
E niuno un pan le die!
.
Là fra le rive adriache
Vive una gran Mendica:
Di lei stupende glorie
Dice la storia antica.
Poi nel comun servaggio
Pianse del nostro pianto;
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Poi, l’empio giogo infranto,
Coll’universa Italia
Levò la fronte oppressa,
Discesa in campo anch’essa;
Ed or che i re tradirono,
Sola nel campo ell’è.
.
Dio la difenda e il popolo,
Se l’han venduta i re.
.
Narro una turpe istoria. —
V’era una gente schiava
Che un dì s’alzò terribile
E i suoi signor fugava:
Era una sol famiglia,
Ma aveanla da molti anni
Divisa i suoi tiranni.
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Or poiché surse, stringersi
Giurava ad un sol patto,
Pegno del suo riscatto.
Farsi una, sola e libera
In Dio fidando e in sè.
.
E Dio l’ha salva e il popolo,
Ma poi si diede ai re.
 .
Ed ecco — ahi stolta Italia! —
Le furo tosto accanto
Certi bugiardi apostoli
Che avean di saggi il vanto:
.
Recavan seco un idolo
Fatto di fango — l’ara
Era una vecchia bara,
E quei bugiardi dissero:
Morte a chi non s’atterra
All’idolo di terra!
.
Viver non può l’Italia
Se non gli cade ai pie.
.
Dio la difenda il popolo:
Vogliono darla ai re.
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Ella ha creduto, misera!,
A quei bugiardi preti;
Si curvò innanzi a Belial,
Lapidò i suoi profeti
Ch’ivan gridando: l’idolo
Fatto è di fango; l’ara
Ella è una vecchia bara;
Guardate, v’è il cadavere
D’altri che gli ha creduto,
D’altri che fu venduto ….
.
Ma la delira Italia
Volle cadérgli al pie.
Dio la difenda e il popolo:
Ella ha credulo ai re.
.
E pochi dì passarono
Che quella gente insorta
Aveva il braccio languido,
Avea la faccia smorta:
.
I suoi guerrieri maceri
Per preparata fame,
Cinti d’orrende trame,
Dell’empio fatto inconscii
Trovarsi il brando infranto
E il tradimento accanto;
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Sentirsi indietro spingere
Senza saper perché!
Dio li difenda e il popolo:
Son nelle mani ai re.
.
Poi vidi un’orda stringere
D’una città le mura.
Quella città pareami
Nel suo valor sicura:
Rinvigorir pareano
I maceri soldati
Ed a pugnar parati.
.
Vedea dovunque sorgere
Selve di barricate
Da vecchie donne alzate
Con quell’altier tripudio
Di chi confida in sè.
.
Dio li difenda e il popolo,
Ma sono in mano ai re.
.
Poi vidi cose orribili;
Erano tronche voci,
Occhi stravolti, livide
Faccie, bestemmie atroci,
Esule tutto un popolo,
Questo supremo addio
Lasciava al suol natio,
Perchè al domani l’aquila
Fu sventolar veduta
Sovra Milan venduta.
.
Maledizion all’idolo
Ed a chi in lui credè!
Dio li difenda e il popolo:
Li hanno venduti i re.
.
Ma fra le rive adriache
Vive una gran Mendica;
Vive tra i fiotti e l’alighe
Perch’è del mar l’amica.
.
Adorò anch’essa l’idolo,
Ma con amor di sposa
Che maritàr ritrosa:
Rimandò i falsi apostoli
Il dì del vil mercato,
E ha pe’ suoi mar giurato
Entro i suoi mar sommergere
Quei che l’avevan data,
Quei che l’avean comprata.
.
Salve, fatal Venezia,
E sia il Signor con te.
A Dio sia gloria e al popolo,
Ella è sfuggita ai re.
.
Date a Venezia un obolo:
Non ha la gran Mendica
Che fiotti, ardire ed alighe
Perch’è del mar l’amica.
.
Sola fra tante infamie
Ella è la nostra gloria.
Un’altra turpe istoria,
Se questa illustre povera
Viene a morir di stento,
Udrebbe il inondo intento:
.
Pane chiedea Venezia,
E niuno un pan le die.
Dio la difenda e il popolo,
Se l’han venduta i re.
.
Date a Venezia un obolo
Voi che sperate ancora,
Che non credete un nugolo
Possa offuscar l’aurora.
.
Se i papi e i re convennero
In guerra aperta o infinta,
E una giornata han vinta,
Che cosa è un giorno a un popolo?
.
Quegli che ci ha tradito
E un masnadier ferito,
Che manda ancora un rantolo,
Ma moribondo egli è.
.
Nanzi all’Eterno e al popolo
Che cosa sono i re?

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Questa inspirata poesia fu recitata dall’egregio Goffredo Mameli la sera del 16 settembre corrente al teatro Carlo Felice di Genova in occasione di una grande accademia a pro della eroica Venezia.