1827 Biografia scritta dal Prof. G. Alessandro Majocchi

Nell’Archivio della Biblioteca Vaticana trovo un estratto della Biografia del Majocchi.
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In seguito, entrato in contatto con il Consorzio Irrigazioni Cremonesi (www.consorzioirrigazioni.it), ricevo dal Direttore Dr. Stefano Loffi la Biografia completa scritta dal prof. Gio.  Alessandro Majocchi.
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BIOGRAFIA
DEL CAVALIERE
VINCENZO BRUNACCI
SCRITTA DAL PROFESSORE
GIO. ALESSANDRO MAJOCCHI
Uno degli uomini che si distinsero in questo secolo XIX è certamente Vincenzo Brunacci. L’Italia, già dolente per la morte di molti chiarissimi Geometri, e principalmente di Mascheroni, di Fontana, di Lagrange, di Cagnoli, di Cossali, e di non pochi altri distinti ingegni, pianse amaramente la pérdita di un altro distinto suo figlio che le aveva procacciato gloria ed onore.

Nacque Vincenzo Brunacci in Firenze il dì 3 marzo del 1768 dagli onesti genitori Ignazio Maria ed Elisabetta Danielli di Volterra[1]. Egli ricevette la prima educazione al collegio delle Scuole pie di Firenze, in cui dimostrò gusto per le belle lettere, ma non passione [2].

Nell’anno 1783, cioè nel quindicesimo della sua età, egli incominciò ad essere iniziato nello studio delle matematiche, sotto la direzione del chiarissimo Canovai; ma siccome il padre di lui voleva fare del nostro Vincenzo un giureconsulto, così fu obbligato di applicarsi contemporaneamente allo studio delle leggi e della giurisprudenza. Sin da questo momento egli si pose allo studio delle matematiche e sentissi infiammato dall’amor del vero in guisa che ne divenne appassionatissimo investigatore, e dimostrò d’aver un ingegno creato per le scienze esatte, poiché abbandonò totalmente lo studio delle leggi, e prese passione smoderata per le matematiche.

Le vigìlie e le fatìche con cui si occupò di queste scienze furono di nocumento alla sua salute e gli cagionarono una malattia, dalla quale poscia ristabilitosi continuò con egual ardore lo studio dell’algebra, prendendo per guida le Lezioni di matematica del Marie, colle aggiunte dei distinti geometri Canovai e Del Ricco. Questi suoi studj lo fecero ben presto distinguere fra i giovani che frequentavano quelle scuole, e diventare non solo il più bravo degli alunni, ma bensì maestro stesso dei medesimi, in modo che tutti andavano in sua casa a sentire le ripetizioni delle lezioni avute.

Da che seppe esservi al mondo una geometria, egli la studiò con ardore, e da questa passò rapidamente alle altre parti delle matematiche, le quali, offrendogli mille novità aggradevoli, si disputavano le une colle altre la curiosità di lui. In questa scienza gli servirono di guida gli Elementi di Euclìde del celebre Viviani. Verso il finire del 1784, cioè quasi nel XVII anno dell’età sua, il Brunacci fu mandato da suo padre all’Università di Pisa a studiar medicina per avere un pronto mezzo di guadagno; cosicché fu costretto ad abbandonare le matematiche, per le quali aveva dimostrato tanta passione, ed erano la giusta via destinatagli dalla natura per salire al tempio della gloria. Pochissimo profitto trae pertanto il nostro Brunacci dallo studio della medicina, di modo che quest’anno è pel suo spirito un anno di riposo e di noja nello stesso tempo, essendo obbligato di apprendere una scienza per la quale non era inclinato.

Essendosi nelle vacanze autunnali portato a Firenze, egli, per incitamento del Canovai riprese lo studio delle matematiche, e divisò di voler ad ogni modo intensamente dedicarsi al medesimo. Ritornato quindi sul finire del 1785 a Pisa continuò languidamente la medicina, ed invece si diede con fervore allo studio del calcolo differenziale ed integrale sotto il celebre Paoli, all’astronomia sotto lo Slop, e contemporaneamente alle matematiche applicate da sé medesimo, prendendo a guida gli autori classici che scrissero su queste discipline. In tal anno cominciò a dare ripetizione di matematiche agli scolari di quell’Università con molto profitto di sé medesimo; poiché, oltre il danaro che ne ritraeva, si rendeva nello stesso tempo più famigliari, e meglio rischiaravansi nella sua mente le cognizioni acquistate. In tal modo seguitò ad occuparsi di questi studj tutto l’anno 1786, quando nel seguente, cioè nel XIX dell’età sua, dimanda per mezzo di concorso ed esame la cattedra di professore straordinario di Fisica nell’Università di Pisa, che ottenne poscia nell’anno 1788, tempo in cui fu anche addottorato in medicina.

Pietro Leopoldo, Granduca di Toscana, prende a proteggerlo, e gli dà una pensione per istudiare l’idraulica sotto la direzione dell’ingegnere Pio Fantoni, uomo esperto nella scienza delle acque.
In questo esercizio gli si presentò la favorevole occasione di assistere alla fabbrica del sostegno fatto per la comunicazione dell’Arno col fosso dei Navicelli, e di mettere così in esecuzione il precetto che “nelle scienze di fatto più gli occhi han veduto, più vede la ragione.” Sul finire dello stesso anno 1788 il nostro Brunacci fa anche pratica nello studio dell’ingegnere Salvetti. Egli però non tralasciava di continuare con assiduità lo studio delle matematiche pure ed applicate, cosicchè nel XXI anno di sua età egli era in istato di comprendere l’opera sublime la Meccanica analitica del celebre Lagrange, giacché nelle annotazioni rammentate superiormente che riguardano le principali epoche della sua vita, egli ha lasciato scritto: Mia delizia nel carnevale di quest’anno (1789) era lo studio della Meccanica analitica di Lagrange.
In tal modo avvenne del Brunacci come del Coreggio, il quale al vedere una tela di Raffaello conobbe di essere pittore, ed il nostro Vincenzo alla lettura dell’opera sublime di Lagrange conobbe di essere matematico.
Nell’anno 1790, cioè nel XXII di sua età, venne il giovine alunno delle scienze esatte promosso, dal Granduca Leopoldo, Professore di Matematica e Nautica nel R. Istituto di Marina a Livorno. Egli nelle sue lezioni prese per testo l’opera di Bezout. Qualche anno dopo il Granduca Ferdinando, successo a Leopoldo al trono della Toscana, gli affida la cattedra di Professore d’Artiglieria e Matematica del corpo dei Cannonieri e Cadetti, cattedra ch’ei disimpegna unitamente a quella del R. Istituto di Marina sunnominata. Mentre copriva questo doppio onorevole incarico, cioè nel 1791, egli sopra una fregata toscana va a fare qualche escursione sulle acque del Mediterraneo per insegnare la pratica dell’Astronomia nautica alle Guardie Reali di Marina, pratica ch’egli stesso apprendeva.
Vedendosi il novello Professore in tal modo onorato dal Governo, pensò di dare qualche saggio del suo sapere nelle matematiche, pubblicando nell’anno 1792 l’Opuscolo Analitico che fu ben ricevuto dai Geometri. L’equazioni a differenze finite non si erano integrate generalmente al di là del primo ordine: in quell’opuscolo pertanto il nostro giovane Analista tratta con tutta la generalità quelle di second’ordine, e la matematica riceve nuovi incrementi non solo per rispetto alle dette equazioni, ma anche per quelle degli ordini superiori ed a differenziali parziali.
Questo primo lavoro analitico, in cui aveva mostrato quanto poteva penetrare addentro negli arcàni delle matematiche e quanto era dotato d’un genio inventore, e le due cattedre di professore che gli furono affidate dal Granduca di Toscana, cominciarono a mettere le basi di quella fama a cui doveva egli in seguito salire; perciò l’Accademia dei Fisico-critici di Siena l’aggregò fra i suoi membri, e poco dopo, cioè sul finire del 1793, l’Accademia Reale Fiorentina e quella dei Sepolti di Volterra lo nominarono pure loro membro.
Nell’anno seguente pubblicò la Memoria sopra l’integrazione di alcune equazioni a differenze finite negli Atti dell’Accademia Senese, di cui, come si disse, era stato nominato membro. In questo scritto egli ripiglia l’argomento trattato nel suo Opuscolo Analitico, ed applicando ingegnosamente le dottrine del suo precettore Paoli all’integrazione d’un’equazione a differenze finite proposta dal matematico francese Charles, ne generalizza la forma, la integra indipendentemente dalle supposizioni di questi, e dimostra che l’equazione integrata dell’Analista oltramontano non è che un caso particolare della sua. Da ciò si vide nel Brunacci, sebbene ancor giovine, quanta attitudine incominciavasi a spiegare per le indagini di matematica sublime, e quanto sapesse abbracciare le idee più generali per discendere poscia alla particolari.
Dopo questi lavori egli pensò alla compilazione d’un testo per la scuola di Marina di Livorno, che egli con pari onore di sé medesimo e profitto dei piloti toscani disimpegnava. Ei fu pertanto nell’anno 1795 che Brunacci tradusse in un volume il Nuovo Trattato di Navigazione che contiene la Teorica e la Pratica del pilotaggio di Bouguer, il qual trattato non solo arricchì d’aggiunte e d’illustrazioni, ma con un secondo volume, che serve di continuazione al medesimo, completò l’opera del Matematico francese. Questo libro in tal modo arricchito di aggiunte e d’un intero volume è uno dei migliori atti a formare il pratico piloto, e sopra molte navi toscane non si è ancora dimenticato, anzi si desidera il magistero del nostro Vincenzo. Il nominato libro venne preso per testo in parecchie scuole nautiche d’Italia, ed a quest’ora se ne sono fatte cinque edizioni (1) che migliorarono sempre più il Trattato, il quale coll’ultima di esse può dirsi opera interamente del Brunacci, tante sono le correzioni ed aggiunte fategli.
Nell’anno 1796, cioè nel XXVIII di sua età, egli pensò di conoscere altri paesi d’Italia fuori della Toscana. Si determinò pertanto di far un giro nella Lombardia, dove, a Pavia, Mascheroni ed i due Fontana si distinguevano fra i primi Geometri italiani dei loro tempi. Del valore matematico del nostro Vincenzo si sparse la fama anche nei paesi stranieri alle rive dell’Arno, e quei tre celebri Matematici dell’ìnsubre Università avevano in grande stima il novello Analista, poiché dai saggi che aveva dati essi vedevano quanto era per diventare in seguito: egli è per questo che fu umanissimamente trattato ed accolto dal Mascheroni e dai Fontana.
Ritornato Brunacci a Livorno al disimpegno delle proprie funzioni di professore delle due cattedre nominate, continuò gli esercizi nautici ed i suoi studi sull’analisi matematica. Malgrado le fatiche e gli studi del Cavalieri, del Newton e del Leibnitz e gli ampliamenti dati al calcolo infinitesimale dei fratelli Bernuolli, dall’Hopital, dal Riccati e da qualche altro Geometra, era esso ben lontano dal grado di perfezionamento cui poteva giungere. Penetrato da questa massima il Brunacci, e ritenendo che gli sforzi uniti di tutti i Geometri più facilmente potevano farlo avvicinare alla perfezione, egli si dedicò con tutto l’ardore allo studio di questo calcolo clamoroso; e nell’anno 1798 pubblicò il suo Calcolo Integrale delle Equazioni Lineari col quale fece fare nuovi progressi all’analisi sublime mediante l’integrazione di alcune di tali equazioni in cui avevano fatto alto i sommi Geometri La-Place, Paoli e Lacroix. Egli è per questo scritto che Paoli diede il nome d’illustre Geometra a chi fu già suo discepolo, e che un altro precettore del nostro Vincenzo, il chiarissimo Canovai, al di cui giudizio il Brunacci aveva sottoposto il suo lavoro prima di pubblicarlo con le stampe, non solo l’approvò ma lo giudicò degno di comparire a vantaggio della scienza cui appartiene. Il Sovrano della Toscana, Ferdinando III, onorò pure l’autore di quello scritto col sollevarlo in parte dalle spese dell’edizione. Circa quest’epoca i celebri Matematici Mariano Fontana e Cagnoli, essendo passati per Livorno, primo loro pensiero si fu quello di visitare il novello Geometra, ciò che faceano quei pochi i quali intelligenti di matematiche venivan a vedere quella città marittima. Questo prova in qual conto era sin d’allora tenuto il Brunacci, e qual fama aveva sperso di sé.
Le turbolenze politiche, già infestavano alcuni paesi d’Oltremonte, e penetrate da qualche tempo in Italia vennero nel 1799 a disturbare dai pacifici suoi studi il Brunacci. Egli vien preso in sospetto di vedere favorevolmente la rivoluzione francese; ed i Napoletani che momentaneamente occupavano Livorno domandarono al Granduca ch’egli ne fosse allontanato. Il Governo gli lasciò tutti gli onorari; gli assegnò di più una diaria, e con pretesto di farlo direttore in campagna dei lavori dei nuovi condotti di Livorno, l’allontanò da questa città. Salvetti, sotto al quale Brunacci si era esercitato nella pratica d’ingegnere, era allora il direttore di tutte quelle grandi opere, di maniera che anche in questo caso era già tant’alto salita la riputazione del nostro Vincenzo, e tanta era la fiducia che si aveva del suo parere nelle cose fisico matematiche, che il Sovrano della Toscana teneva già il Brunacci capace ad assumere le direzioni de’ lavori che erano stati incominciati sotto il magistero d’un uomo già precettore di lui.
Nell’estate dello stesso anno 1799 l’armata rivoluzionaria francese invade la Toscana, ed obbliga il nostro Geometra ad essere municipale; per tal motivo egli fu costretto a salvarsi in Francia alla venuta dell’armata che fece sfrattare i Francesi dalla penisola italica. Disturbate per tal modo le pacifiche occupazioni di Brunacci, egli, desideroso forse di vedere nuovo mondo e di conoscere gli uomini grandi che nelle scienze fiorivano a Parigi, approfittò di tale occasione per acquistare nuove cognizioni, e si portò infatti a vivere per qualche tempo nella capitale della Francia, finchè l’orizzonte politico dell’Italia si fosse rasserenato. In quella grande città venne fraternamente trattato dai distinti Matematici Bossut e Cousin, Prony, il nostro Lagrange, Legendre, Leveque gli usano urbanità; è ricevuto nelle sedute dell’Istituto francese; gli si usano molti tratti d’amicizia. Al bisogno vien favorito da più membri di quella società d’un certificato, che gli fa ottenere ampia carta di ospitalità per restare in Parigi.
Il Brunacci “che più stretto ogni di Matesi il tenne” lontano dalla patria, non dimenticò i suoi studi prediletti e non trascurò di trar profitto da tutto ciò che la capitale della Francia poteva presentargli per vie più fornirsi di cognizioni, e di meditare su quanto poteva essere utile alla scienza che professava e procacciargli fama ed onore. Chi avrebbe creduto che Bossut, tanto benemerito dell’idraulica sperimentale e che accolse così fraternamente il novello Geometra italiano nel 1799, doveva quindici anni dopo averlo per collega a dividere la gloria d’aver promossa la scienza delle acque? Parimente Lagrange, il primo de’ Matematici di quel tempo, certo non s’immaginava allora che Brunacci dovesse essere il più caldo ammiratore della sua teorica delle funzioni analitiche; teorica che con tanta alacrità si fece a diffondere e a sostenere fra di noi per isbandire dal calcolo gl’infinitesimi; teorica che ampliò con miglioramenti e con applicazioni, per cui non si saprebbe ben decidere quale dei due Geometri italiani merita maggior gloria, se si riflette altresì che per mezzo del Brunacci e della sua scuola si è diffusa per l’Italia dove tuttora si sostiene, quando nel paese, in cui venne ideata dal Lagrange, fu ammirata bensì ma non coltivata. Appunto in quest’epoca, morte ci rapì in Parigi uno dei più grandi nostri matematici, il celebre Mascheroni, che trovavasi colà mandato dal Governo cisalpino in qualità di commissario per l’oggetto gravissimo dei pesi e delle misure. Il Brunacci ebbe l’occasione di accompagnare al sepolcro la salma di quell’illustre Italiano unitamente a tanti altri uomini distinti nazionali e stranieri che a quel tempo dimoravano in Parigi; fra i primi, notavansi i membri dell’Istituto Francese, La-Place, La-Lambre, Prony e Legendre, che sostenevano i quattro angoli dello strato funebre del Mascheroni.
Sul finire dell’anno 1800, essendo dileguati alla meglio i torbidi politici, Brunacci ritorna in Italia dove, postosi in riposo dalla cattedra di matematica che copriva nell’Università di Pisa il celebre Paoli, egli viene nominato professore in sua vece, e così nell’età di trentadue anni è destinato a subentrare al suo maestro per disimpegnare la cattedra principale di matematica dell’Università pisana. Ma in un altro ateneo, più cospicuo di quello di Pisa, dovea la fama del Brunacci giungere al suo colmo e splendere di una luce vividissima e brillantissima. L’Università di Pavia era il centro da cui si dovevano diffondere con incredibile potere le dottrine del Lagrange, vestite ed ampliate dal Brunacci. La nostra penisola doveva per gli sforzi unìti di tanti suoi geometri salire fra il numero delle prime nazioni coltivatrici delle matematiche discipline. Infatti, mentre l’italiano Lagrange promuoveva in Oltremonte le dottrine tutte dell’analisi, e teneva il primato fra i Matematici di una delle più dotte nazioni; e mentre Fergola sulle rive del Volturno diffondeva la sintesi geometrica, formando una scuola composta dal Flauti, dal Giordano, dal Sangro, dallo Scorza, dal Giannatasio e da molti altri, la quale riprodusse la gloria geometrica dei tempi d’Archimede e d’Apollonio; e mentre Oriani sulle rive dell’Olona faceva altrettanto per la teoretica e pratica astronomia, e formava per l’onore della penisola gli astronomi Satini, Inghirami, Piazzini, Plana, Brioschi e Carlini, che con tanto lustro dirigono ora gli osservatorj di Padova, di Firenze, di Pisa, di Torino, di Napoli e di Milano; e mentre Venturoli sulle rive del Reno e del Tevere preparava nelle matematiche applicate allievi degni di lui, Brunacci sulle sponde del Ticino doveva trattare le più sublimi questioni della geometria coll’analisi del Monge, e spargere le dottrine Lagrangiane con tale insinuazione, da divenire l’istruzione matematica eloquente sulle sue labbra, e preparare per tal modo allievi che dovevano occupare in seguito le principali cattedre di matematica e di fisica, e recar così maggior lustro alla nazione.
La Repubblica Italiana invita Brunacci a venire nel seno di lei per coprire la cattedra di Matematiche sublimi a Pavia, rimasta vacante per la giubilazione di Gregorio Fontana. Gli si offre onorevole e comodo stipendio, perciò accetta la proposizione, e lasciando Pisa, viene a Pavia. Ei fu appunto nel 1801 che il Brunacci incominciò le sue lezioni di calcolo sublime in questa celebre Università, e di questa nomina si felicitarono i primi Matematici italiani viventi di quei tempi, amici di lui (I).Nel primo anno in cui egli occupava una tal cattedra fu nominato Rettore Magnifico di quell’Università.
Giunto il nostro Geometra a Pavia così s’esprime intorno allo stato in cui ivi erano le scienze esatte: Trovo gli studj matematici in massimo languore. Non si andava al di là degli Elementi del Mari. Lo stesso languore in tutta la Repubblica. Professori deboli e non desiderosi di apprendere. Forse queste parole sembreranno a taluno troppo dispregevoli per essere applicate al luogo dove, poco prima della venuta del Brunacci, risiedevano per l’insegnamento matematico i due Fontana, Mariano e Gregorio, e quello stesso Mascheroni di cui Brunacci aveva pianto la pérdita in Parigi; esse a primo aspetto possono prendersi come un insulto ch’egli lasciava scritto contro questi tre grandi Geometri, per meglio forse dar risalto a quanto operò a profitto ed a decoro dell’insubre ateneo. Se vogliasi però esaminare ben addentro la sentenza del Brunacci si troverà ch’essa non è esagerata. I due Fontana ed il Mascheroni erano grandi Geometri; ma quantunque fossero forniti di tutte quelle doti che caratterizzano il genio e che qualificano gli uomini insigni, tuttavia non possedevano l’arte del porgere in quell’alto grado di cui il nostro Brunacci era fornito, non avevano come quest’ultimo la facilità di parlare in un all’intelletto ed ai sensi, ed insinuare cogli esempi, colle lodi e coll’incoraggiamento la giuventù all’amore per lo studio, animandola a vincere ogni ostacolo, ed a proseguire con alacrità nella carriera intrapresa (II). Io l’ho veduto, principalmente quando spiegava il trattato delle linee a doppia curvatura, trattato che di sua natura riesce di difficile intelligenza a chi è appena iniziato nei misteri del calcolo, dovendosi immaginare delle linee serpeggianti condotte nello spazio; io l’ho veduto, dissi, con qual chiarezza indicava l’andamento delle curve; con quali artifizi strascinava la mente del giovane a mettersi nell’immaginazione linee supposte, condotte nello spazio aereo; in qual modo osservava il volto degli scolari per iscoprirvi il segnale dell’intelligenza, e in caso diverso ritornar di nuovo sulla stessa spiegazione, svilupparla in altre maniere, ed assalito da fremiti d’inquietudine che rendeva più eloquente il suo dire, raddoppiare l’attenzione degli scolari: al fine leggendo sul loro volto la persuasione proseguiva con voce di contentezza la dimostrazione, parecchie volte con la fronte grondante di sudore per la tensione cui soggiacevano le fibre ed i muscoli del suo corpo allorquando egli cercava in mille modi di spianare quelle difficoltà che le qualità delle materie opponevano all’intelligenza dei giovani studenti. E perché non si creda esagerato il mio dire riporteremo qui un passo d’un altro suo scolaro in cui descrive questa prerogativa del Brunacci: “Egli, quantunque giunto (III) in luogo ove le matematiche non erano sicuramente ignorate, corrispose alla più grande aspettativa, ed avanzolla fino a raggiungere un’ammirazione del tutto nuova. Infatti non basta essere dotto nella scienza per esserne professore: bisogna avere il dono della parola, l’artificio della insinuazione. Questi pregi erano in lui un grado altissimo, incomparabile: chiunque l’ha udito dirà che le mie espressioni, per quanto vive, pur non lo sono abbastanza. L’insegnamento matematico perdeva sulle sue labbra ogni difficoltà, ogni asprezza, e trattato come una specie d’incanto, era insieme d’istruzione allo spirito e diletto all’orecchio. Fu allora che le scuole matematiche sul Ticino presero quella rinomanza che tutt’ora grandemente le onora”. Ed il Franchini, quantunque avesse avuto col Brunacci alcune controversie, pure a questo proposito scrisse: “Egli fu dottissimo professore di matematica superiore a Pavia, nello studio infaticabile, in ogni sua produzione lucidissimo, nell’ammaestramento della gioventù esimio (I)”.
I due Fontana ed il Mascheroni pertanto, quantunque rendessero celebre coi loro nomi l’ateneo pavese, tuttavia, occupati piuttosto della sola scienza e spesso le loro menti sublimi divertite in quei tempi dalla politica, non ponevano gran cura a fare degli allievi che portassero nelle altre città il fuoco e l’amore per le scienze esatte, e che fornissero lo Stato di valenti maestri: perciò non è maraviglia se in quasi tutte le scuole delle province vi fossero professori deboli, e non forniti di talenti e di quel corredo di cognizioni che li rendono capaci a spandere in una nazione l’amore per le utili discipline; tanto più che in tal epoca il languore per gli studj matematici era sparso quasi direi in tutta l’Europa.
In così vario e vasto campo ebbe Brunacci occasione di mostrare il suo profondo sapere nelle scienze fisico-matematiche. Egli ben presto divenne l’idolo de’ suoi discepoli, e seppe acquistarsi presso i medesimi e presso i dotti colle sue fatiche e coi suoi talenti quella stima che meritava. Per tempo si manifestò nell’illustre Fiorentino quella virtù tutta propria e particolare degli uomini eccellenti, che moltiplica a misura degli ostacoli, e quando nell’opinione di tutti è spenta la speranza trova per non avvertiti modi la via della vittoria. Fu pertanto primo pensiero del Brunacci di far ogni sforzo per riformare lo studio delle matematiche in quella Università, facendo in modo che il Governo creasse una cattedra d’introduzione al calcolo sublime; e di trattare questo calcolo con la dottrina delle funzioni analitiche con cui incominciò a diffondere per l’Italia gli alti concepimenti di Lagrange. In tal guisa apertosi al nostro Vincenzo un vastissimo campo per far palese il suo ingegno, e sostenute lodevolmente come avea le cattedre già occupate in Livorno ed in Pisa; di giorno in giorno andava sempre più crescendo in fama ed in riputazione, di maniera che venne dall’Accademia di Padova e da quella di Torino aggregato fra i loro membri, per la seconda volta è prescelto al posto importantissimo di Rettore Magnifico dell’Università di Pavia, ed il Governo cisalpino lo incarica dell’orientamento degli studj matematici nella repubblica.
Con sì prosperi principj entrato il nostro Vincenzo nel novero degli Scienziati, e postosi nel rango dei primi Matematici italiani di que’ tempi e fra i principali professori d’una celebre Università, egli si occupò ad accrescere la sua fama: nell’anno 1802 pubblicò l’opera, Analisi derivata o sia Analisi dedotta da un sol principio di considerare la quantità che presenta i fondamenti di un calcolo generale. Il principio di derivazione considera una quantità qualunque in diversi stati dipendenti l’una dall’altra per una istessa legge, ed il suo scopo è di indagare le proprietà di questa medesima quantità relativamente ai suoi stati, per quindi far uso delle proprietà stesse nella soluzione dei problemi. La legge di derivazione o il principio col quale devesi effettuare una tal operazione può essere qualunque, per cui si avranno dall’analisi derivata tanti rami di calcolo quante sono le operazioni che possono immaginarsi indicate. L’analisi derivata abbraccia adunque la teorica degli esponenti, il calcolo delle differenze finite, quello delle funzioni analitiche, il calcolo differenziale, la teorica delle facoltà numeriche, ecc., e lega per tal modo tutte le parti delle matematiche fra di loro. Non deve quindi far maraviglia se taluno ha detto “trovasi in questo libro uno dei sublimi concetti che siano caduti in mente umana, cioè quello del principio di derivazione” (II).
Uno dei primi pensieri del Brunacci fu, come si disse, la riforma degli studj matematici nell’Università in cui si trovava professore, giacché era suo scopo non solo di far progredire la scienza, ma di diffonderla, formando allievi che dovessero in seguito maggiormente accrescere il nostro patrimonio in fatto di scienze fisico-matematiche. Incaricato pertanto dal Governo di un corso di lezioni d’Idrometrica e Geodesia, di cui niuna parola si faceva a quell’Università, approfitta di quest’occasione, e domanda un assegnamento per la provvista di alcuni strumenti idrometrici e geodetici, e diviene così il fondatore dell’attuale Gabinetto d’Idrometria e Geodesia ch’è andato sempre più arricchendosi sino allo stato di floridezza in cui trovasi oggidì. Noi non mostreremo qui quali vantaggi abbia recato Brunacci alla scienza ed alla gioventù che percorre la carriera dell’ingegnere e dell’agrimensore, coll’istituzione di questo Gabinetto; ma per rispetto a ciò manderemo i nostri lettori a consultare il Rapporto dell’Ingegnere Rasponi intorno all’istruzione che nelle pratiche geodetiche ed idrometriche traevano gli studenti ingegneri nell’Università di Pavia (I).
Già sino nel 1803 Brunacci aveva molto estesa la sua fama, sicché nell’anno stesso, epoca della formazione dell’Istituto Nazionale di Scienze, Lettere ed Arti, egli venne scelto ad esserne membro fra i primi trenta nominati per formare quel corpo stabilito al numero di 60 socj. Nel seguente anno 1804 Napoleone, volendo ricompensare i suoi talenti, lo nominò Cavaliere della Legion d’Onore di Francia.
Brunacci già da qualche tempo meditava sopra un progetto grandioso, il quale non poteva essere mandato ad effetto che da un Geometra di primo ordine. Sin dall’aprile del 1800 il grande Oriani l’aveva invitato a comporre un Corso completo di calcolo differenziale ed integrale, fondato sopra i principi langrangiani, ritenendolo il solo fra gl’Italiani che potesse intraprenderlo con felice successo. Egli pertanto non fu sordo agli eccitamenti di un sì celebre Astronomo, e negli anni 1804, 1806, 1807 e 1808, pubblicò in quattro volumi in quanto il suo Corso di Matematica sublime in cui inserì tutto ciò c’era stato fatto dai moderni Geometri su tal argomento, e molte v’aggiunse di cose sue proprie. A lui appartiene l’integrazione delle equazioni lineari di second’ordine a coefficienti variabili; sua è una formula per l’integrazione delle equazioni lineari di tutti gli ordini a coefficienti costanti; suo il metodo di ricompletare gl’integrali a coefficienti costanti da sostituirsi a quello dell’Alembert, la cui dimostrazione era difettosa, metodo che felicemente introdusse anche nel calcolo differenziale; sua l’idea della probabilità variabile, e della soluzione dei problemi ad essa spettanti; sua l’applicazione del calcolo delle differenze finite alla Geometria ed all’Algebra. Molti sono i pregi di quest’opera grandiosa, oltre le cose nuove che contiene, in cui Brunacci
. . . di figure e di calcoli sicuro
gl’intricati correndo labirinti . .
unisce in un sol corpo, e con conveniente ordine dispone tutto ciò che forma la scienza del Calcolo sublime (II). Brunacci, dietro le orme di Lagrange, ha sbandito da questa scienza gl’indivisibili, gl’infinitesimi, i limiti e le flussioni, ed i suoi fondamenti poggiano ora sopra princicj simili a quelli dell’algebra elementare. E’ per tal modo somma gloria per gl’Italiani d’aver veduto creati i princìpi del calcolo sublime dal Cavalieri, ed il veder ridotti questi principj all’ultima loro perfezione per opera di Lagrange e di Brunacci; di maniera che gli sforzi tutti degli stranieri sono compresi fra questi due limiti.
Occupato il nostro Geometra in opera tanto laboriosa, parrebbe che non gli avesse dovuto rimanere tempo per dedicarsi ad altri lavori, tanto più se vogliasi aver riguardo alle ore che doveva impiegare nell’istruzione, nelle incombenze di cui veniva dalla superiorità incaricato, e nelle faccende domestiche. Ma in questo periodo di tempo egli pubblicò altre otto opere più o meno voluminose, più o meno analoghe all’argomento principale che l’occupava e più o meno importanti. Nell’anno 1805 Brunacci inserì negli Atti dell’Accademia di Torino una Memoria delle variazioni delle costanti nell’integrazioni dell’equazioni a coefficienti variabili, la quale è come un appendice al suo Calcolo integrale delle equazioni lineari, pubblicato nel 1798. In essa si contengono molti teoremi nuovi sulle integrazioni delle equazioni. Nel seguente anno 1806 stampò una Memoria sopra i principj e le applicazioni del calcolo differenziale ed integrale (I). In essa dimostra la necessità di sbandire dalle scuole la tenebrosa metafisica degl’infinitesimi. Ivi fa ardenti voti affinché succeda un tal bando, il quale, se non fu effettuato in Francia, ove dimorava allora l’autore stesso delle funzioni analitiche, possiamo però lusingarci, dice Brunacci, che seguirà in Italia da che venne prescritto nelle due Università di Pavia e di Padova dover essere fondato il calcolo differenziale ed integrale sopra i principi lagrangiani, dedotti dall’analisi derivata. Nello stesso volume primo dell’Istituto nazionale trovasi un’altra Memoria di lui che versa Sui criterj per distinguere i massimi dai minimi nel calcolo delle variazioni. Oltre questi scritti, i quali avevano analogia col Corso di Matematica sublime che l’occupava in questo quinquiennio, e che furono o tutti o in parte innestati nel medesimo, altri ne pubblicò che versano su materie differenti da quelle del corso nominato. Nello stesso anno 1806 ideò un nuovo strumento idrometrico, Il Galleggiante composto, la di cui teorica ed uso consegnò nel detto tomo I degli Atti dell’Istituto nazionale. Io non mi farò qui a mostrare quali vantaggi abbia recato all’idraulica l’istrumento inventato dal nostro Brunacci, giacché ed il Venturoli nella sua Meccanica, ed il Rasponi nel nominato Rapporto, ed il Fossombroni ed altri scrittori idraulici ne parlaron favorevolmente. Nell’anno 1808 pubblicò i suoi ‘Elementi d’Algebra e Geometria’ che furono destinati come testo nelle scuole di Matematica dei Licei del regno. Di questi Elementi egli è piuttosto il compilatore che l’autore, poiché incaricò alcuni suoi allievi per trascrivere dagli Elementi di La-Caille, sui quali con tanto successo lavorarono il Marie, e gl’italiani Canovai e Del Ricco, e dalle opere elementari di Eulero, di Bezout, di Bossut, di Clairant, di Riccati, di Saladini, di Paoli, di Ruffini, e di qualche altro. Tuttociò che poteva essere opportuno per la compilazione del suo libro. La geometria da lui prescelta è quella di Euclìde, volgarizzata dal celebre Grandi, a cui ha fatto alcuni cangiamenti ed alcune aggiunte; e per rispetto alla trigonometria gli ha servito il ristretto che di questa scienza ha pubblicato l’illustre Cagnoli. Al Brunacci quindi deve attribuirsi soltanto l’ordine con cui furono distribuite le materie, e chi scrive un libro elementare di questa fatta altro vanto non può ottenere che per l’ordine; del resto nulla d’importante non può aggiungervi, e niuna gloria può acquistare l’autore dal lato delle novità. Brunacci ottenne il suo scopo e per rispetto all’ordine ed alla scelta delle materie i suoi Elementi hanno avuto il più lusinghiero accoglimento, giacchè sei edizioni si fecero sin a quest’ora dei medésimi, cinque delle quali a Milano ed una a Bologna; e si noti che tre furono fatte dopo la morte dell’Autore, ed arricchite di erudite note da uno dei distinti suoi discepoli. Nello stesso anno 1808 il nostro Geometra pubblicò tre Discorsi Accademici di Meccanica animale (I), nel primo dei quali prende ad esame coi lumi della Fisica e della Meccanica il salto semplice, nel secondo il salto mortale ed il salto tondo, e nel terzo parla della leggerezza nel correre facendosi a correggere un errore in cui erano incorsi i Geometri Lambert, Prony e Gregorio Fontana. Finalmente nel quinquennio mentovato, in cui Brunacci pubblicava il suo corso di Matematica, diede anche alla luce colle stampe una Memoria sopra le soluzioni particolari delle equazioni alle differenze (II). Con questo scritto entra Brunacci nell’intricatissimo laberinto delle soluzioni particolari delle equazioni alle differenze, e le sue meditazioni fruttarono per le scienze esatte alcuni eleganti teoremi sugl’integrali particolari e completi di tali equazioni per la cui integrazione accennò qualche traccia, e facilitò per tal modo ai posteri il progresso di questo ramo di analisi sublime.
Nel tempo in cui ha eseguito tutti questi lavori di tavolino non tralasciava d’essere utile allo stato con lavori pratici che interessavano la pubblica prosperità del regno. Il Direttore generale di acque e strade e porti marittimi Paradisi, essendo stato incaricato dal Governo di fare stendere un progetto per la costruzione del Canale navigabile da Milano a Pavia, sul finire del luglio 1805, così scriveva al nostro Brunacci: “Un’opera di somma importanza esige l’esperienza, i lumi e lo zelo di abili professori, e persuaso che in voi concorrono tali requisiti in grado eminente, vi ho prescelto unitamente agli ingegneri Giussani e Giudici a quest’oggetto con superiore approvazione.” La relazione di questo progetto venne distesa dal Brunacci a nome dell’intera Commissione, e porta la data del 21 ottobre 1805. Il progetto venne nella primavera del 1806 spedito dal Governo di Milano a Parigi per l’approvazione di Napoleone, ove fu rimesso all’esame del Matematico Prony, direttore dell’I. R. Scuola de’ Ponti ed Argini di Francia. Questi trovò degne di approvazione e di lode alcune parti del progetto, ed altre rilevò dovere progettarsi a qualche modificazione e perfezionamento. Rimesse al Brunacci le osservazioni di Prony, egli non tralasciò di scioglierne tutta la difficoltà, e di dilucidare tutti i dubbi del medesimo; per la qual cosa il progetto del Brunacci venne adottato. Sul finire del 1807, il nostro professore, ch’era già stato nominato Ispettore Generale di acque e strade, venne destinato Direttore dei lavori per la costruzione del canal-naviglio di Pavia, e Giussani e Giudici furono gli ingegneri che dovevano sussidiarlo in quella grande operazione. All’atto dell’esecuzione il Brunacci pensò di fare al suo progetto alcune modificazioni che la pratica gli suggeriva; ed altre ne fecero, molto dopo incominciata l’opera, gl’ingegneri anzidetti sottentrati al Brunacci nella direzione immediata dei lavori del canale di cui parliamo, sotto la special sorveglianza dell’Ispettore generale Coccoli; poiché il Brunacci, dovendo accudire alla cattedra di Calcolo sublime nell’I.R. Università di Pavia, non poteva disimpegnare nel tempo medesimo la carica d’Ispettore generale in attività di servizio presso la Direzione di acque e strade e porti marittimi del regno. Per la morte poi del Giudici, avvenuta sul cadere del 1809, venne nominato Direttore dei lavori per terminare il nominato canale il sig. Carlo Parea, in quel tempo ingegnere in capo al Dipartimento dell’Olona, sotto al quale ebbe poi il suo compimento nell’anno 1819, epoca in cui Brunacci era già passato nel numero degli estinti, per cui non ha avuto la compiacenza di vedere terminato un lavoro in cui ebbe la massima cooperazioni, ed intorno a cui, quantunque avesse cessato dalla direzione immediata incompatibile colle altre sue incombenze, venne tratto consultato (I).
Tutti questi lavori fruttarono al Brunacci non pochi onori e premj; e per tacere dei minori, diremo soltanto che nel 1806 egli venne nominato Cavaliere della Corona ferrea, ed Ispettore d’acque e strade,e nello stesso anno la Società Italiana delle Scienze l’aggregò fra i suoi membri; vedendo ben ella quanto poteva il medesimo accrescerne lo splendore co’ suoi scritti di cui corredò, come abbiamo notato, il volume XIV degli Atti, della medesima. In questo tempo il Governo Etrusco spedì al Brunacci una Medaglia per onorare un sì degno concittadino, del che il Ministro degli affari esteri del regno d’Italia gli dà notizia con lettera del 19 giugno 1806. Il Viceré pure rimunerò le dotte fatiche del nostro Vincenzo assegnandogli con decreto del 21 ottobre 1808 la somma di lire 2400 italiane per la sua soddisfazione del Corso di Matematica sublime, che come abbiamo detto aveva terminato di stampare in quell’anno. Appunto in questo periodo di tempo egli occupò per la terza volta il posto di Rettore Magnifico dell’Università di Pavia.
Nel suo terzo Rettorato gli fu affidata la riforma del piano degli studi matematici per le università. Si è allora che il numero delle cattedre destinate per l’istruzione dei giovani architetti, ingegneri ed agrimensori crebbero di numero, e le scienze fisico-matematiche entrarono a formare una sezione a parte degli studi superiori; voglio dire la facoltà fisico-matematica; si è allora che incominciarono a ricevere il grado di dottore dopo un corso di tre anni i giovani che si facevano la carriera delle scienze esatte. Fra le cattedre aggiunte merita d’essere notata quella di Brunacci Introduzione al calcolo sublime, per mezzo della quale la gioventù dopo aver studiato nei Licei gli Elementi di Matematica pura, passando all’Università non fa più un salto troppo rapido passando tosto al calcolo differenziale ed integrale, ma in tal modo viene in vece questa istradata con dottrine le quali riempirono il grand’intervallo che separava l’Algebra e la Geometria elementare dal Calcolo nominato.
Brunacci in mezzo a tutte queste occupazioni non tralasciava i suoi studi favoriti, e questi non meno facevansi sui libri che sui continui sperimenti, sulle osservazioni delle leggi fisiche dei corpi, sui confronti delle diverse produzioni della natura e dell’arte, e sui continui tentativi per iscroprire i misterj della prima, e per migliorare le operazioni della seconda. Molte sperienze egli eseguì per perfezionare l’idraulica, e per istruire i suoi allievi in questa scienza astrusa, di parecchie delle quali si dà notizia nel nominato Rapporto dell’ingegnere Rasponi. Egli è per questo che il Direttore generale della pubblica istruzione Moscati, così scriveva al Brunacci nel febbrajo del 1809, notificandogli il regalo che gli faceva il Principe Vecerés “il clementissimo nostro Principe si è degnato d’ordinare che a lei, sig. Professore, sia donata una scatola d’oro in contrassegno della superiore sua soddisfazione per le sperienze idrauliche da lei eseguite nello scorso anno scolastico con tanta sua lode, e con tanto profitto de’ giovani studenti.”
In quest’anno pubblicò la sua Memoria sopra i criterj che distinguono i massimi dai minimi nelle formole integrali doppie (I) in cui si ammira sempre il grand’Analista, e in cui correggonsi alcuni errori del distintissimo Geometra francese Legendre. Sul finire dello stesso anno fu chiamato dal Ministro dell’Interno Vaccari a far parte della Commissione che doveva regolare l’attivazione del nuovo sistema di misure e pesi (II).
Gran profitto Brunacci sapeva anche trarre dai giuochi di puro divertimento, ed interrogare con essi la natura per indagare le forze meccaniche e valutarne le leggi. Di tal fatta è il Ragionamento fisico-meccanico sopra i ballerini da corda tesa (III), in cui si fa ad indagare qual vantaggio, porta al ballerino quell’asta di legno che tiene nelle mani. In quest’anno fu nominato membro del Collegio dei Dotti.
L’Accademia di Padova aveva proposto un quesito con cui cercava un esame di confronto della Metafisica dei metodi finora conosciuti che formano il fondamento del Calcolo differenziale ed integrale, argomento che già da molto tempo occupava la mente del nostro Geometra, e di cui aveva già dato saggi si luminosi nelle opere che aveva pubblicato. Egli pertanto era quasi direi il solo che potesse meglio d’ogni altro Matematico soddisfare alla domanda dell’Accademia: perciò si accinse alla soluzione del quesito, e presentò la sua Memoria al concorso, la quale infatti ottenne nell’aprile del 1810 il ben meritato premio di lire 650 italiane. Questa Memoria venne poscia pubblicata colle stampe a spese dell’accademia medesima, ed in essa si ravvisa di quanta erudizione nella scelta delle materie, di quanta finezza nel paragone dei diversi metodi, di quanta destrezza nel maneggio del calcolo, e in una parola di quanto sapere era fornita la mente del Brunacci.
In questo scritto il nostro Autore dimostra che ad ogni modo la teoria delle funzioni analitiche merita sopra quelle degl’infinitesimi, delle flusioni, degli evanescenti, e dei limiti una decisa preferenza.
Interessanti sono le sperienze ch’egli ha consegnate nel Giornale di Pavia (I), le quali riguardano più la dottrina della comunicazione del moto, e vi portano non poca luce, che l’idraulica, come apparirebbe dal titolo che loro ha dato il suo Autore.
Nell’anno 1811 il nostro Brunacci pubblicò in due tomi il suo Compendio del calcolo sublime ove trovasi trattato tutto ciò che è necessario all’istruzione di un giovine Geometra; ed ove perfezionò parecchie cose che sono nel corso grande, e molte pure ne aggiunge di nuove. La verità vuol essere cercata, ed è il tardo premio della fatica, della pazienza e della meditazione. Un’opera che costò al nostro Professore molti studi e molte sperienze fu la teorica dell’Ariete Idraulico, che sembrava sottrarsi al dominio del calcolo. Essa fu chiesta invano dall’Accademia di Berlino negli anni 1810 e 1812. Il nostro Brunacci doveva ottenere il promesso premio se un accidente impreveduto non avesse impedito che la Memoria del nostro Geometra giungesse nel tempo prescritto all’Accademia. Di questa interessante opera si sono fatte due edizioni sotto il titolo di Trattato dell’Ariete Idraulico. In esso si ravvisa la somma perizia nello sperimentare, la profondità del sapere, la giustezza delle idee, e la meravigliosa penetrazione del Brunacci. Si è principalmente per quest’opera che l’Accademia di Berlino lo elesse a suo Socio corrispondente, in ricompensa del premio che egli avrebbe ottenuto se fosse giunto in tempo opportuno il suo scritto. Nello stesso anno 1811 l’Accademia Labrònica di Livorno l’elesse Membro ordinario della classe scientifica, ed il Governo italico nominò Brunacci Ispettore Generale di pubblica istruzione del regno l’Italia . Né credasi che in mezzo a tante occupazioni il Brunacci godesse di questo posto soltanto onorificamente. Egli disimpegnò con non minor zelo ed attività questa importante incombenza, in prova di che daremo due soli attestati, il primo del Ministro della guerra e marina Fontanelli, che nell’aprile del 1813, per rispetto alla visita del R. Collegio di Marina di Venezia, così scriveva al Brunacci: “Dal suo rapporto ho rilevato con molta mia soddisfazione quanta diligenza e calore Ella abbia adoperato nell’eseguimento della datagli commissione, e quanta saviezza ed ingegno, sia nel rilevare il merito rispettivo del personale addetto al Collegio, sia nel concertare e nel proporre tutto ciò che l’è sembrato dover essere utile al buon riuscimento di quegli allievi ed alla sistemazione del Collegio”. Il secondo del Direttore generale della pubblica istruzione Moscati che, per rispetto alla visita fatta agli stabilimenti d’istruzione, nel luglio dello stesso anno così gli scriveva: “Sua Altezza Imperiale il Principe Viceré si è compiaciuta di dichiarare d’essere rimasta contenta particolarmente del suo operato, e di ordinare che sia a lei testificata la sua soddisfazione.”
Brunacci, quantunque passato Ispettore generale d’acqua e strade onorario, tuttavia non tralasciava la Direzione generale di questo ramo d’amministrazione pubblica, di servirsi dei savj suoi lumi in materie gravi ed importanti. Un Matematico di Baviera avendo rassegnato al Viceré quattro Memorie, la prima delle quali trattava dell’essicamento delle valli e dei paesi inondati del regno d’Italia, la seconda della diversione del Reno e della sua immissione in Po, la terza del miglioramento delle macchine per espurgare i canali delle lagune di Venezia, e la quarta delle miniere d’Agordo nel Dipartimento della Piave; il nostro Geometra nel novembre del 1811 è invitato dal Direttore generale d’acque e strade e porti marittimi Paradisi a far parte della Commissione che doveva esaminare le dette quattro Memorie del Matematico bavarese, le quali interessavano non poco il regno per oggetti tanto importanti. Parimente in quest’anno fu incaricato dell’esame d’un progetto compilato dall’ingegnere Fabbri per la costruzione di un nuovo porto tra Ancona e Fermo, a cui fece non poche osservazioni, dimostrando che il porto mentovato in vece di aprirsi sulla costa d’Asolo, sarebbe stato più conveniente di costruirlo su quella di Recanati. La Direzione quindi concorse nell’opinione di lui, e nel dicembre del 1812 partecipava al Brunazzi che il Governo aveva prescelto il suo progetto.
La fama del Matematico fiorentino andava crescendo in un cogli onori che riceveva dalle Società scientifiche. Appunto nel 1812, l’Accademia di Monaco l’aggregò fra i suoi Membri stranieri ordinarj, e la classe delle scienze fisiche e matematiche della medesima non ne contava che nove, cosicché Brunacci venne ad essere nel novero di questi, ed a trovarsi assieme ai nomi distinti di Carnot, Monge, Pony, ecc.
Immerso di continuo nelle occupazioni che gli davano l’istruzione, e le altre diverse cariche che copriva, le quali lo distraevano in esami di lavori, in visite, in rapporti, in consulti, ecc., sembrerebbe che non gli restasse tempo per dedicarsi a’ suoi studi favoriti. Ma siccome la Matematica non ha il costume di lasciare in quiete coloro dei quali una volta abbia preso possesso, così essa lo seguiva in mezzo a tante distrazioni. Egli cercò quindi, e nell’aprile dell’anno 1812, ottenne dal Ministro della Guerra Fontanelli i mezzi per fare delle sperienze sulla portata dei mortai, i risultamenti delle quali consegnò in uno scritto pubblicato nel Giornale di Pavia (I), che lesse all’Istituto nazionale di Scienze, Lettere ed Arti nell’adunanza del 9 luglio 1912; e nella successiva del 16 dello stesso mese, egli vi lesse anche un Discorso sopra l’urto di un fluido contro un grave quiescente (II), in cui si fa ad indagare coi lumi della Fisica e della Matematica la causa per cui l’urto di un fluido contro un solido riesce minore di quello di un solido contro un altro solido. Nell’anno 1813 ristampò, come si disse, con annotazioni e miglioramenti il suo Trattato dell’Ariete Idraulico, e pubblicò un grazioso Discorso su gli effetti delle ali nelle frecce (III). In questo stesso anno venne nominato Membro dell’Accademia Napoleone di Lucca. Il Cavalier Grimaldi, segretario della medesima, così gli scriveva nel luglio dello stesso anno: “Per la perdita del Langrange trovandosi l’Accademia priva di un insigne Geometra, non meglio poteva supplire e consolarsi in questo grave voto nella classe delle scienze che a nominarlo a pieni voti in suo luogo.”
In quest’anno e in parte del 1814, Brunacci scrisse una Memoria colla quale concorse al premio proposto dalla Società Italiana delle Scienze per la soluzione del quesito Quale tra le pratiche usate in Italia per la dispensa delle acque è la più convenevole, e quali precauzioni ed artifizi dovrebbero aggiungersi per interamente perfezionarla riducendo le antiche alle nuove misure (metriche).
Il lavoro del nostro Geometra fu coronato del promesso premio di lire 800 italiana dalla suddetta Società nel giorno 29 novembre 1814, e il celebre Cagnoli, segretario della medesima, il giorno 6 dicembre dello stesso anno, così gli scriveva: “Sono ambizioso di poterle per dovere d’Istituto dare il primo una notizia a lei tanto grata, e che riuscirà soddisfacente ancor per l’Italia, allorché si compia l’intrapresa edizione del manoscritto, avendo i Giudici dichiarati i sommi pregi ch’esso contiene, e l’utile che ne ridonderà all’Italia quando adotterà, come non v’ha dubbio, l’esecuzione del metodo della sua dottrina esposto il migliore.” In questo concorso il Brunacci aveva fra i competitori il chiarissimo Tadini, uomo molto esperto nella scienza delle acque. Brunacci fu dotato dalla natura del dono singolare per le sperienze, di molta finezza per rilevarne gl’inconvenienti e d’una grande destrezza per eseguirle. Il suo discorso accademico Sul retrocedimento che lo scappare dei fluidi produce nei vasi che li contengono (IV) n’è una prova. Il cav. Morosi aveva presentato all’Istituto di Milano alcune sue sperienze dirette a mostrare quanto si poteva accrescere l’urto d’una vena fluida sopra d’una superficie circondata da un orlo; il Brunacci prende ad esame le sperienze del Morosi, si fa ad ampliarle e ad indagare colla teorica la ragione di un tal fenomeno; il che forma l’oggetto d’una memoria inserita negli Atti della Società Italiana delle Scienze (V).
Sin dal 1810, egli aveva scritto, come si disse, sopra i ballerini da corda tesa, ora si fa ad esaminare gli equilibri ed i moti che presentano i ballerini da corda molle, il che forma un ragionamento che consegnò nel Giornale di Pavia (VI), di cui era diventato da alcuni anni uno de’ principali collaboratori. In questo stesso anno egli prese ad esaminare la dottrina dell’attrazione capillare che trattarono con un’Analisi intralciata ed astrusa il matematico francese La-Place, e colla Geometria elementare l’italiano Pessuti. Questo argomento forma l’oggetto di tre distinte Memorie (I), nella prima delle quali dimostra che l’analisi del La-Place non è per alcun modo necessaria, in quanto che la strada elementare adoprata dal Pessuti conduce esattissimamente alla dimostrazione degli stessi teoremi, ed alla soluzione dei medesimi problemi dimostrati e sciolti dal Geometra francese. Nella seconda delle dette Memorie dimostra che l’applicazione dell’Analisi fatta dal Geometra La-Place, per l’estimazione degli effetti dell’attrazione capillare, non compie il suo scopo, di dedurre cioè per mezzo di ragionamenti matematici, gli uni dagli altri tutti i fenomeni che presentano le diverse esperienze su quell’attrazione, di assegnarne le precise misure, e di formare in fine un ramo di matematica di questo fenomeno fisico. Nella terza Memoria, Brunacci si fa ad esaminare la causa cui il Geometra francese attribuisce l’azione della forza che tiene sollevata la colonna liquida capillare, ed in generale che produce i fenomeni di siffatta attrazione. In quest’opinione del Brunacci concorse un anno dopo il Geometra inglese Ivory, il quale nel marzo del 1816 lesse alla Società Reale di Londra una Memoria sull’attrazione capillare in cui dimostra che, non ostante tutti gli scritti pubblicati su questo fenomeno, si desidera sempre una soluzione completa e soddisfacente della questione. Giunte le Memorie del Brunacci alla cognizione del La-Place, il Petit, allievo di questi, nei quaderni di gennajo ed agosto degli Annali di Chimica e Fisica di Parigi del 1817, si fece confutare le osservazioni del professore di Pavia con ciance ingiuriose più che con ragioni, a cui il Brunacci non mancò di rispondere (II).
Noi opiniamo che implacabili discordie regneranno sempre sul modo di considerare quest’azione; intanto Jurin fu vinto da Clairault, Clairault da La-Place e da Pessuti, e questi due ultimi Geometri da Brunacci.
Fu appunto in quest’epoca (1816) che il Governo pontificio bramò di sentire in iscritto il ragionato parere del nostro Analista sull’articolo 97 del congresso di Vienna per la ripartizione dei debiti degli stati che componevano il regno d’Italia; e la politica ebbe in tal caso un bisogno indispensabile dei lumi della Matematica.
Sin dall’anno 1814 la Lombardia era ritornata felicemente sotto il regime dell’Augusta Casa d’Austria, e quantunque in tal epoca, scioltosi il regno d’Italia, quasi tutti i professori ritornassero sotto i rispettivi Governi, tuttavia Brunacci, che però con decreto dell’agosto 1808 era stato naturalizzato a questo regno, fu ritenuto nello stesso posto di professore di Calcolo sublime nell’Università di Pavia, perché il nostro Governo ben conosceva i distinti meriti di lui, e quanto lustro recava all’Ateneo pavese. Noi sappiamo da non dubitarne che la Commissione Aulica degli studi aveva fisso su di lui gli occhi siccome sul soggetto più atto per riordinare l’istruzione pubblica nel regno Lombardo-Veneto nuovamente istituito; ed inoltre che si aveva intenzione di proporlo a S.M. il nostro Augustissimo Imperatore per ottenergli la Croce dell’ordine di Leopoldo. Intanto, nel giugno del 1816, il Direttore Generale della pubblica istruzione Scopoli invitava il nostro Professore di Pavia a stendere un piano di scuola dei piloti, piano che nessuno altro avrebbe fatto meglio di lui.
In mezzo alla pace generale ch’era succeduta agli ultimi sconvolgimenti politici dell’Italia, Brunacci continuava ad attendere a’ suoi studi prediletti, e ad istruire la gioventù nelle operazioni dell’Analisi, e nelle pratiche dell’Agrimensura e Geodesia, non che della Livellazione e dell’Idrometria. In tale tempo scrisse due Memorie che lesse all’I.R. Istituto, e furono pubblicate dopo la sua morte nel volume III degli Atti del medesimo che comprende i lavori del 1816-17, ed è stampato nel 1822. In una egli prende in considerazione La reazione o spinta indietro dell’acqua ch’esce dai fori dei vasi; e nell’altra parla Del computo delle macchine idrauliche, in cui cerca di dar delle norme per valutare l’effetto di simili macchine, dilucidando le sue idee con esempi e valutazioni dell’effetto di macchina data. Collaboratore del Giornale di Pavia, egli corredò il tomo X del 1817 di due scritti; il primo è una Nota sulla forza degli animali in cui si contengono dati pratici per valutare i lavori dei medesimi; e l’altro tratta con nuove sperienze Della Misura della percossa dell’acqua sull’acqua. L’argomento dei fluidi è intralciatissimo, e perciò il Brunacci colla scorta dell’esperienza, coi lumi della fisica, e col sussidio del calcolo si è fatto a studiarle senza risparmiare fatiche e vigilie; cosicché si può dire di lui che quanto più un trattato gli si presentava ribelle, più lena prendeva per assalirlo in ogni maniera ed impossessarsi del medesimo.
Nell’anno 1817, essendo in Vigevano insorta una questione che interessava la popolazione tutta di quella città, il Professore di Pavia fu chiamato a consulta. Gli abitanti della medesima pretendevano che l’aumento d’acqua che aveva ricevuto il Naviglio della Sforzesca, di proprietà del signor Saporiti, fosse la causa dell’acqua che filtrava nelle loro cantine, poiché un tal canale scorre non molto lungi da Vigevano. Il Saporiti, ricusando di ridurre la portata del canale allo stato primitivo secondo gli veniva intimato da quei cittadini, sosteneva che la causa di tale filtrazione era l’acqua stagnante delle risaje di recente stabilìte in vicinanza della nominata città. La questione portata ai tribunali, fu d’uopo consultare persone perite nelle cose idrauliche per deciderlo. Il Brunacci chiamato in competenza dei chiarissimi professori di Torino, Michelotti e Bidone, si portò sul luogo, e, dopo aver esaminata la cosa, fece un suo rapporto appoggiato anche a sperienze ch’egli instituì appositamente su tale soggetto, dichiarando che l’acqua del naviglio non poteva filtrare a traverso il terreno per lo spazio di 50, 60, ed in alcuni luoghi anche di 100 metri per produrre le mentovate inondazioni, inclinando di più l’acqua corrente a seguire il suo corso che a spandersi lateralmente, e penetrare per compatto terreno. Le nominate sperienze furono inserite dopo la sua morte nel Giornale di Pavia (I); in cui poco prima lui vivente aveva stampato un Discorso accademico sopra gli equilibri (II).
Le continue occupazioni sui libri, e le assidue fatiche nello sperimentare ad interrogare in molle modi la natura, l’insegnamento pubblico nell’Università, e l’esercizio in campagna per le operazioni geodetiche ed idrometriche, e i lavori e le visite che gli portavano le sue qualità d’Ispettore generale delle acque e strade e della pubblica istruzione, ed i consulti ed i pareri che stendeva su cose di cui si desiderava il suo autorevole giudizio, e le tante distrazioni che gli recava il posto eminente in cui era collocato, e l’avidità di sapere, e la compiacenza dei successi, e l’amore per la gloria; furono in qualche modo la cagione del malore che lo tormentava da qualche anno. Una occulta, aneurisma involta nell’aorta ventrale era la cagione del suo male, a guarire il quale non valse l’arte d’uomini distintissimi che in quel tempo sedevano lettori di mediche discipline nell’università pavese; sicché scoppiata la fine nel dì 16 giugno dell’anno 1818 lo condusse alla morte toccando appena il decimo lustro della sua età ed in quanto all’ingegno ancor pieno di vigore simile a quello della più florida gioventù. Sul letto del dolore e della morte, circondato da alcuni amici più ìntimi che solevano ordinariamente adunarsi presso di lui, da alcuni professori dell’Università, da qualche suo discepolo, da valenti medici, e da pochi altri adoratori del suo nome, i quali tutti si disputavano a gara i pietosi uffizi da rendere all’amico, al collega, al precettore, all’insigne Geometra, egli confortato dalla religione spirò tra le braccia dell’amicizia e in mezzo alle lagrime della costernazione e del dolore che ognuno di loro versò compiangendo la perdita di uno dei più grandi Scienziati italiani.
Per tal modo il suo spirito
………che morte or toglie
all’Italica speme, e su lo strale
vital, che verde ancor fioria, lo coglie.
Dopo molto affannarsi entro il suo velo,
è anelar stanco su l’uscita, al fine
l’ali aperse, e raggiando alzossi al celo.
Qui non posso lasciare di narrare l’ultima lezione che diede Brunacci nell’Ateneo pavese descritta da uno dei diligenti suoi discepoli (III). “Ed ora ben mi si presenta alla mente con mio cordoglio quel giorno che fu l’ultimo, in cui mi venne concesso di sentire le sue parole.
Spiegava in quel tempo la Teorica dei contatti delle curve a doppia curvatura, dottrina in cui moltissimo brillava il nitore delle sue idee, ed il felice modo d’esprimersi; ma in quel giorno la sua voce languida e spossata, il suo aspetto tristo chiaramente dimostravano lo stato miserabile di sua salute. Di fatto egli non poté proseguire tutta l’ora della lezione, e ci promise che avrebbe continuato il giorno dopo. Ah, chi avrebbe mai pensato che quella era l’ultima volta in cui avremmo sentita la sua voce!”
L’infausto annunzio della morte del nostro Vincenzo sparse tosto in Pavia una mestizia in tutti gli animi, che si diffuse poscia rapidamente per l’Italia, e per l’Europa tutta. Gli furono fatte magnifiche e splendidissime esequie; ma ben più commovente della funebre pompa era l’universal cordoglio che vedevasi in quel di su tutti i volti dipinto. Gli studenti d’ogni facoltà spinti spontaneamente renderono tutti un tributo di venerazione alle virtù del celebre professore, accompagnandone il feretro al sepolcro con non equivoche dimostrazioni di stima, di riverenza e d’affetto; e quattro dei suoi scolari portandone sulle spalle la morte spoglie. I colleghi di lui, fra i quali contavansi i celebri Scienziati Volta e Scarpa, professori emeriti, e molto devoti del suo nome, condecorarono pure la funebre funzione, che riescì commoventisima. L’accompagnò per tal modo il pianto degli amici, ai quali altissimo desiderio ha lasciato di sé; l’accompagnarono le lagrime e la riconoscenza de’ suoi discepoli, e della numerosa scolaresca di quell’Università; l’accompagnò il rammarico di tutti i suoi conoscenti, che ripetono sospirosi i pregi del suo carattere; l’accompagnò il finalmente quel confuso general fremito di sincera mestizia che segue soltanto alla tomba il feretro dell’uomo virtuoso, probo e benefattore.
Mentre i Fogli pubblici annunziarono la morte del Brunacci, proclamarono contemporaneamente un altro attestato di onore che gli veniva dato dall’Accademia di Napoli coll’aggregarlo fra i suoi membri. Egli ha lasciato parecchi manoscritti, fra i quali alcune eccellenti annotazioni, che dovevano in seguito formare un Commento alla Meccanica Analitica di Lagrange; e noi possediamo altresì il Corso d’Idrometria che abbiamo esteso dietro le lezioni sentite da lui allorquando eravamo studenti all’Università. I clamori del fanatismo ed i latrati dell’invidia che sempre accompagnarono la fama d’uno scrittore vivente spariscono per la posterità, e rimangono soltanto le opere che imparzialmente vengono giudicate, e fissano il giusto merito dell’autore. Dal rapido ragguaglio che noi abbiamo dato degli scritti del Brunacci, e dall’esito favorevolissimo che ebbero presso i dotti ed i Corpi accademici, e dagli emolumenti ed onori che gli fruttarono, il Brunacci viene a collocarsi fra i primi Matematici d’Europa. Le nazioni si dileguano, cessa lo strepito dei nomi, ed il fosco oblio diffonde una densa caligine su tutte le generazioni; ma quei rari ingegni che hanno composte delle opere celebrate e veramente sublimi fiammeggiano di splendore, e l’aurora manda sopra di essi i perenni suoi raggi, siccome sulle prominenti cime del creato.
Un uomo ch’erasi di tanto elevato sopra i suoi contemporanei, doveva eccitare è bensì vero l’ammirazione del pubblico, ma anche l’invidia di taluni. Quell’invidia che trasse a tristo ed oscuro esiglio il giusto Aristide, il grande Temistocle ed il prode Scipione, quella stessa intentò qualche molestia all’Autore del grande Corso di Matematica sublime, ad uno de’ più grandi coltivatori e propagatori delle matematiche e fisiche discipline. Non sapremmo se l’invidia o la malignità (l’amor della Scienza certamente no) abbia mosso il defunto professore Troselli a pubblicare un libricciuolo in francese (I) in cui, coll’arma del ridicolo, cerca di mostrare essere il Brunacci ambizioso. Sì, egli era fornito d’ambizione, ma di quella che sta riposta nel vero merito, e solo si palesa ed erompe quando le circostanze imperiosamente lo comandano! Qualche volta è santo e decoroso pesare sui vigliacchi colla potenza dell’ingegno, e prendere da sé stessi quel posto che dall’invidia orba e molto adoperante è conteso. Ebbe anche alcuni dissapori col celebre Matematico Franchini, come lo fa palese la nota che il Brunacci mise intorno al medesimo nel suo Corso di Matematica sublime (II).
Due contese che interessavano moltissimo la scienza idraulica furono quelle ch’ebbe coi chiarissimi Geometri Avvanzini e Tadini (I). Brunacci usò forse col primo troppa severità nel giudicare de’ suoi lavori, “Ma lo sdegno degli uomini forti, dice Perticari, è un affetto distinto dell’ira che consuma i vigliacchi. Il primo è un affetto magnanimo ed un indizio di virtù, il quale procede da costume ottimo, siccome la pietà; ma gli uomini servili e gli abbietti, e quei che consumano la vita senza fama e senza voglia di fama, sono disdegnosi mai; solamente iracondi”. Tadini poi, che forse con troppa acerbità si è posto ad attaccare il nostro Geometra, avrà dimenticata la sua collera, giacché la morte è un potente mediatore! Essa estingue la fiamma dell’ira, essa concilia i nemici, e la pietà s’inchina come una sorella affettuosa sull’urna che abbraccia (II).
La critica fatta agli uomini distinti è certamente prova del loro merito. Perciocché o sono criticati per gelosia o per amor della scienza: se per gelosìa egli è segno della loro superiorità; se per amor della Scienza, mostrasi la stima dei dotti; giacché la critica non si volge agli uomini mediocri: questi vengono giudicati e condannati, ma criticati non mai. Le critiche quindi ch’ebbe il nostro Brunacci gli tornano più ad onore che a biasimo. I più grandi uomini sono stati continuo oggetto di critica, e più vengono grandi più danno campo alle censure.”È della natura dell’uomo, dice un filosofo, non contentarsi mai ed esigere sempre a proporzione che gli si dà; e siccome l’autore pretende e procura di far sempre meglio, il giudice diventa più difficile, e per la stessa ragione pretende o procura che vada sempre avanti, onde succede che l’uomo grande vien meno applaudito pei lavori sublimi del suo miglior tempo, che non fu pei primi saggi della sua gioventù.” Brunacci ebbe molti adoratori, fra i quali i suoi discepoli che lo tenevano qual padre. Molti uomini anche distinti lo consultavano in materie scientifiche anche difficili, ed i precettori stessi di lui non isdegnarono talvolta di sentire il parere del loro illustre allievo.
Noi, scorrendo le sue opere in un colle principali vicende della sua vita, abbiamo veduto il Brunacci profondo Matematico, ingegnoso sperimentatore del dotto Idraulico; ora facciamo meglio conoscere il suo carattere e le sue virtù sociali.
La natura fornì il nostro Vincenzo d’un intelletto vigoroso e robusto, senza di che non potrebbe aver scritto tanto, e tanto operato; egli era fornito di un giusto criterio, d’un fino giudizio, e di molto spirito (III), un buon cittadino amante della gloria, le generose virtù della gratitudine e dell’amor patrio splendevano in lui nobilissime (IV). Egli era trattabilissimo, d’una probità conosciuta, d’un animo aperto e sincero. Talvolta né suoi scritti si scagliava con impeto contro le opinioni che impugnava, ed il mal umore aggiunge spesso risalto alle idee. Brunacci aveva una gran facilità di parlare, e di rendere le materie astratte alla portata di tutti. Egli era stretto in amicizia ed in relazione coi primi Scienziati d’Italia e d’oltremonte (V).
Gli amici, i colleghi e gli scolari dell’illustre defunto gli fecero erigere un monumento che fu collocato sulla porta del Gabinetto Idrometrico e Geodetico, il quale è un monumento più splendido ad onore del celebre Matematico, siccome fondato da lui. Sopra una specie di ara e base di marmo di Carrara s’innalza un medaglione rappresentante l’effige del Brunacci, disegnata secondo la maschera in grandezza naturale. Sul basamento leggesi la seguente iscrizione:
VINCENTIO BRUNACCIO
FLORENTIAE EQUITI CORONAE FERRAE HONESTAEQUE LEGIONIS
PROFESSORI GEOMETRIE MATHESIS SCIENTISSIMO
IN SUMMA LITTERARIA CONLEGIA RELATO
QUOIS INGENIO STUDIO ROGATUR
HYDRAULICUM HOCCE AMALTHEON CONDITUM
INSTRUCTUMQUE PATET
SODALES POST MORTEM POSERIE A. MDCCCXIX
E’ per noi conforto che il celebre Geometra sia mancato in quella stessa città dove si è formata ed estesa la sua fama. Gli scolari, gli amici di lui che si porteranno a visitare quel santuario delle Scienze spargeranno quella tomba di pianto, e cercheranno di eccitare da quelle ceneri faville del suo sapere. I suoi congiunti non devono bramare che le ossa dell’insigne Professore ripòsino nel luogo di sua nascita, ma lasciar in pace che il suo sarcofago illustri i portici stessi in cui è giunta al massimo grado la sua celebrità. Se io fossi stato Pausania, per possedere entro le mura di Sparta il cadavere di Leònida, non avrei saputo levarlo dalle onorate tombe delle Termopili. Il sepolcral Monumento del nostro Vincenzo s’illustrò di tanti titoli, quanti mai possono adunarsi in un privato. Sulla sua tomba i Professori di Pavia, e molti altri Scienziati piansero un gran Geometra, nel quale convennero, e l’erudizione di Pappo, e la sagacità d’Archiméde, e l’ordine d’Euclìde e la chiarezza di Galilei, e la profondità di Newton; la scolaresca, il precettore più amoroso e più eloquente; la civil società; l’uomo grande ed il colto cavaliere; la filosofia; il cuor più fermo nelle avversità, nelle prosperità il più generoso; le scienze, il cultore loro non meno che il loro protettore munificientissimo. Sulla sua tomba l’Italia si conforta nel vedere che per principal suo mezzo molti belli ingegni calcano con onore la carriera delle matematiche e delle fisiche discipline, e che vi hanno taluni, i quali già spandono un’alta fama, degna del loro illustre precettore(1): cosicché ben si può dire che periti tutti gli argomenti della romana grandezza, tanto ancor le rimane della romana virtù.
(1)“A diffondere le matematiche e le fisiche discipline di Brunacci fu coadiuvato dai signori Lotteri, Gratognini, Configliacchi e Mozzoni, i quali contemporaneamente col nostro Geometra sedevano lettori nell’Università ticinese”.
 
 


[1] Tre fratelli ebbe l’esimio estinto. Il reverendo don Antonio Lorenzo, Dottore in S. Teologia, Elimosiniere della R. Corte di Toscana, Confessore di S. A. I. R. Granduca Ferdinando III, e Canonico del Duomo di Firenze. Filippo, Ragioniere in capo dell’I.R. Commissario Generale di Guerra e Marina, col grado di Capitano. Carlo, ch’esercita la professione di legale.
[2] Tutte le parole in corsivo sono del nostro Geometra, e si trovano registrate in un foglio in cui egli aveva abbozzate le principali epoche della sua vita sin dall’anno 1808, forse coll’intenzione di scriverla in seguito ad imitazione del Cardano, dell’Alfieri, del Cellini e di molti altri.
1 Una di queste è una traduzione in greco-volgare ad uso delle scuole nautiche delle isole Jonie
I il celebre Oriani il I°luglio del 1801 così scriveva al nostro Brunacci: “Mi rallegro che il nostro Governo abbia conosciuto i meriti vostri scientifici e v’abbia nominato professore dell’Università di Pavia. Questo grande stabilimento letterario acquisterà un nuovo splendore dal vostro nome, e coi vostri precetti incoraggierete presso di noi i buoni studi."
II con ciò non vogliamo dire che il Fontana ed il Mascheroni fossero affatto sprovveduti di quella facoltà che chiamasi comunicativa e di quell’arte che serve a spingere con passione i giovani allo studio ed alle fatiche: soltanto noi crediamo che queste doti erano possedute dal Brunacci in grado eminente, più alto cioè di quello dei tre geometri nominati.
III Così il Pilola nell’articolo necrologico, inserito nel tom. X della Biblioteca Italiana, 1818.
I Saggio sopra le Storie delle Matematiche. Lucca, 1821.
II Piola, lungo citato.
I Giornale di Brugnatelli, Pavia, 1808, tom. I, pag.l 365.
II Il celebre Matematico Fossombroni, che tenne sempre col Brunacci una corrispondenza scientifica, e consultava il medesimo, e n’era vicendevolmente consultato intorno alle matematiche, così gli scriveva nel giugno del 1806, intorno ai primi due volumi del Corso di Matematica sublime: “Io felicito i giovani italiani d’oggidì che con un corso così fatto incominciano dove noi finivamo allorquando eravamo all’Università, e non mi meraviglierò se le matematiche si diffonderanno con molta più rapidità di prima.”  E nella stessa lettera poco dopo soggiunge: “Fino ad ora mi è sembrato preciso e chiaro, e tale che i Francesi non mi pare abbiano altrettanto, giacché il Corso del compilatore Lacroix mi sembra che non possa percorrersi senza rischio di confusione, da un giovine che studia la prima volta”. Ed in una lettera del settembre 1808, così scrive il nominato Fossombroni al Brunacci: “Ho ricevuto il vostro IV volume, e sebbene molte insolite distrazioni mi abbiano impedito di studiarlo, ho potuto scorrendolo vedere delle belle cose, tra le quali non posso tacere l’Appendice seconda che mi è infinitamente piaciuta e comparsa interessante. Non tacerò nemmeno uno sbaglio in cui v’ha fatto incorrere la vostra e per me preziosa amicizia citandomi con espressioni che il Pubblico troverà troppo superiori al mio merito. Insomma io mi rallegro con voi, e sono mortificato di non aver modi per corrispondere alla vostra cordialità”.
I Tom. I delle Memorie di Fisica e Matematica dell’Istituto nazionale italiano.
I Giornale di Pavia, tom. I, pag. 73.
II Memorie della Società Italiana delle Scienze, Verona, 1808, tom. XIV.
I I lavori del canal-naviglio sul cadere del 1809 arrivavano quasi fino a Binasco. Il piano dei medesimi da quel punto sino allo sbocco nel Ticino fu molto variato partendo il canale a sinistra dalla strada postale che conduce a Pavia, mentre nel progetto originario era stabilito a destra della medesima. Questa variazione, che dicesi essere stata feconda di alcuni vantaggi, è dovuta agli studi del nominato signor ingegnere Parea.
I Memorie dell’Istituto nazionale, tom II
II Così il Ministro gli scriveva nel dicembre 1809: “Volendo io approfittare delle estese vostre cognizioni ho ideato di destinarvi a far parte della mentovata Commissione”
III Inserito nel tomo XV degli Atti della Società Italiana delle Scienze, Verona 1810.
I Tom III, 1810, pag. 157
I Tom V, pag. 271 Pavia, 1813
II Inserito nel tom. XVI, pag. 172 delle Memorie della Società Italiana. Verona, 1813
III Giornale di Pavia, tom. VI, 1813, pag. 423
IV Giornale di Pavia, 1814. Tom VII pag. 89
V Tom. XVII, Verona, 1815 pag. 79
VI Tom. IX, 1816, pag. 409
I Esse furono inserite nel tom. IX del Giornale di Pavia alle pagine7; 127 e 163; 241 e 343, Pavia 1816
II Veggasi il tomo X del Giornale di Pavia, 1817, pag. 224 e 386.
I Decade II, tom. I, 1818, pag. 275
II Decade II, tom. I, 1818, pag. 134
III Il professore Gabba nel suo Elogio manoscritto di Brunacci
I Prophètie de Ahmed-Ben Cassam-al-Andacossy sur l’événement d’un Mathèmaticien, stampato colla falsa data di Lione l’anno 1814.
II Tom. II pag. 354
I Noi ci proponiamo in altra occasione di dar un ragguaglio di queste contese idrauliche.
II Il signor Lombardi, segretario degnissimo della Società Italiana delle Scienze, in un breve Elogio del Brunacci inserito negli atti di quel corpo, così s’esprime per rispetto alla Memoria sulla Dispensa delle Acque, che fu il libro contro il quale più d’ogni altro mosse il Tadini le sue critiche. “Se vi fu chi mosse querele contro il giudizio con tanta rettitudine proferito dalla Società Italiana che coronò l’Autore, io son d’avviso che chiunque vorrà con animo scevro da qualunque preoccupazione leggere la Memoria del Brunacci e quella del suo Competitore, la quale poi vide la luce benché di nuove forme vestita, credo che mentre ravviserà in questa molta dottrina Analitica, dovrà insieme convenire che la Memoria del nostro Autore raggiunse più da vicino lo scopo della pubblica utilità, a cui l’Accademia intese nel pubblicare quel programma”.
III Un giorno Brunacci passeggiando sentì uno degli scolari meno studiosi a dire che se negli esami non otteneva da lui il voto favorevole egli gli avrebbe fatto cosa dispiacevole, e poi sarebbe andato ad annegarsi. Brunacci colse tosto il giovine e gli disse francamente con quel suo accento toscano: Non sapete che le zucche galleggiano.
IV Brunacci fu quello che più d’ogni altro promosse con ardore l’erezione d’un monumento alla memoria del celebre Spallanzani sotto i portici dell’Ateneo Pavese ed a spese del Governo. Nel giugno pertanto del 1808 lo ringraziarono di ciò con lettera officiosa, e il fratello dell’illustre Naturalista, e il Sindaco di Scandiano, patria di Spallanzani ed il Podestà di Reggio.
V Fossombroni, Paradisi, Moscati, Scopoli, Vaccari, Prony, Oriani, Plana, Cagnoli, Paoli, Cossali, Lagrange, Cuvier, Canovai, Mengotti, Vassalli-Eandi, Burg, Ferroni, e i Segretarj delle Accademie di Berlino, Monaco, Tralles e Baader, e molti altri uomini illustri tennero con Brunacci corrispondenza ed amicizia, per lasciare d’altri distinti più vicini, anche il Re di Prussia e quello di Baviera gli scrissero due lettere officiose ringraziandolo del dono loro fatto di alcune sue opere.